L'Invenzione di noi due. 2020 Giulio Einaudi by Matteo Bussola

L'Invenzione di noi due. 2020 Giulio Einaudi by Matteo Bussola

autore:Matteo Bussola [Bussola, Matteo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 2020-02-27T12:00:00+00:00


31.

Kintsugi

– Tu sei rotto, – mi disse Nadia una volta, – per questo sei cosí bello.

Fu in un giorno d’inizio novembre, poco dopo il nostro primo incontro. Lei indossava un grazioso cappello stile Sarah Key che la faceva sembrare una bambina troppo cresciuta. Passeggiavamo stretti per via Sottoriva, gustandoci l’aroma di castagne e torbolino che s’insinuava nei portici, insieme a un vocio tenuto sotto pressione che traboccava dagli interni delle osterie, quasi rabbioso. Lei si girò verso di me all’improvviso e mi fissò con quei suoi occhi luccicanti, che cambiavano colore a seconda del tempo, come si fosse ricordata di qualcosa, poi mi disse la frase.

Quando camminavamo, le piaceva aggrapparsi al mio braccio sinistro. Con la mano destra percorreva la lunga cicatrice che testimoniava ancora il trauma della mia caduta, dopo piú di vent’anni. Fu Nadia a spiegarmi il kintsugi, la tecnica giapponese che ricompone gli oggetti di ceramica rotti, evidenziando le crepe con una vernice dorata. Simboleggia l’arte di abbracciare il danno, di non vergognarsi delle ferite, l’unicità del dolore che rende preziosa ogni vita. Ma è un fatto che chi ha perso un pezzo di sé, si tratti di un braccio o di un padre, passerà il resto della vita a cercare di tenersi insieme.

Nadia si arrovellava spesso su questo, su come fare ad abbattere tutti i muri che, lei diceva, ero rapidissimo a innalzare e che la tenevano lontana da me. Io, al contrario, ero dell’idea che i muri non andassero necessariamente abbattuti. Si possono superare aggirandoli, o trovando un’apertura. Senza contare il fatto che ogni muro è eretto a difesa di qualcosa, e forse, prima di entrare in un giardino segreto, può essere bello anche soffermarsi ad accarezzarne le pietre del recinto.

Nadia piú che recinti li vedeva come argini messi lí a contenimento, non a protezione, per questo la incuriosivano. La sua aspirazione era quella di far uscire, tirar fuori, e non di intrufolarsi.

Quel giorno, dopo essere sbucati in riva all’Adige, cominciammo a fare il giochino degli animali.

– Tu come mi vedi? Che animale sono per te? – mi chiese.

Ci pensai su, per un po’.

– Un lupo. Anzi, una lupa, – e attesi il mio turno aspettandomi una risposta altrettanto elegante.

Lei invece si voltò verso di me e mi guardò seria, gli occhi stretti a fessura le davano un’aria involontariamente comica.

– Tu sei sicuramente un castoro, – disse.

– Un castoro? – chiesi in un attacco di malcelato orgoglio. – Come sarebbe, un castoro? Cazzo, dài. Un castoro no –. Mentre lo dicevo mi accorsi che mi stavo toccando gli incisivi.

– Sí, un castoro, – mi confermò. – Sei sempre lí a far su dighe, a nasconderti dietro i tronchi. Sei bravissimo, in questo. Instancabile.

– Un castoro –. Lo ripetei a voce alta, cercando di farmelo piacere.

Nadia mi proponeva spesso giochi simili, era una maniera per farsi fare delle domande.

«Non mi chiedi mai niente, – mi diceva sempre. – Non ti interessa conoscere delle cose di me? Sapere i miei gusti, per esempio?»

Non ne sentivo la necessità perché Nadia per me era un libro aperto.



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