L'Unità by Roberto Roscani

L'Unità by Roberto Roscani

autore:Roberto Roscani [Roscani, Roberto]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Fandango Libri
pubblicato: 2024-01-17T23:00:00+00:00


Sotto il segno di EmMa

“Claudio e Marcello si erano dimessi, sul giornale c’era una tempesta e nessuno nominava un nuovo direttore.” Dopo il caso Cirillo-Maresca, Carlo Ricchini che era il caporedattore centrale (nell’ufficio con lui c’erano Renzo Foa, Peppino Caldarola, Rocco Di Blasi e Enrico Pasquini che era il capo dei grafici), si trovò a guidare il giornale per un mese. Così Ricchini continua il suo racconto: “Passavano le settimane e non succedeva nulla, e sul giornale c’era una pressione enorme. Non potevamo restare ancora senza direttore. Chiamai qualcuno dei ‘vecchi’ come Ibba o Roggi e chiesi di incontrare qualcuno al Partito. Avemmo degli incontri, prima con Natta, con Minucci, poi anche con Berlinguer. Avevamo avanzato una proposta per la direzione: facemmo il nome di Aldo Tortorella. Aldo al giornale da sempre, era stato un eccellente direttore, aveva polso, contava politicamente, conosceva la redazione, non aveva alcun apprendistato da fare. Tutti ci dissero che era una buona idea. Poi si arrivò alla riunione del Comitato Centrale che doveva discutere anche dell’Unità. Berlinguer fece la proposta di Tortorella. Lui diede la sua disponibilità, anche se più perché lo avevamo tirato in ballo che per una sua iniziativa. Poi, piano piano, cominciarono ad arrivare gli interventi pieni di dubbi. Dissero che stava facendo bene come responsabile della cultura, che non era facile sostituirlo. Noi rimanemmo stupiti, c’era qualcosa che non andava, c’era una strisciante contrarietà politica. E Tortorella intervenne per tirarsi fuori. Alla fine a sorpresa Berlinguer fece il nome di Emanuele Macaluso, che fu approvato da tutti. Emanuele era stato alla stampa e propaganda diversi anni prima, ma del giornale non si era mai occupato sul serio. Ce lo ritrovammo in redazione. Io che ero partito con mille dubbi finii per essere un suo grande ammiratore e un suo amico. È il direttore con cui ho lavorato meglio, quello che mi ha dato più spazio e ha cambiato di più il giornale.”

Macaluso arrivò così. Non aveva il physique du rôle del direttore, almeno dei direttori come li avevo conosciuti io: piccolo, coi suoi strani baffetti a spazzolino, col suo italiano costantemente ammorbidito dall’accento siciliano, si trovò a dirigere il giornale che doveva affrontare la ristrutturazione e la crisi di credibilità aperta dal caso Cirillo. Al partito, dove gli equilibri erano sempre guardati con attenzione, decisero anche di mettere un condirettore. Scelsero Romano Ledda, un comunista che aveva mosso i primi passi durante il fascismo in Tunisia (dove era nato). Un uomo riflessivo, attento, colto, che passava per essere un ingraiano. Schacherl nelle sue memorie lo definisce “un mastino da lavoro”, noi diremmo un tenace uomo di macchina. Ma il peso politico di Macaluso era infinitamente più grande e la direzione di un giornale non è mai a mezzadria.

Macaluso riprese in mano i progetti che aveva avuto in eredità, la ristrutturazione mordeva, alcuni mutamenti del giornale erano stati studiati e vennero portati a termine. In tipografia e poi in redazione fecero la loro prima comparsa i computer. Erano degli scatoloni grigi



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