Maschere per un massacro by Paolo Rumiz

Maschere per un massacro by Paolo Rumiz

autore:Paolo Rumiz
La lingua: ita
Format: azw3, mobi, epub
Tags: guerra, balcani
ISBN: 9788807722721
editore: Feltrinelli
pubblicato: 2010-12-31T23:00:00+00:00


6. La taverna di Mladen

Sarajevo, notte del 6 marzo 1992. Nel ristorante del serbo Mladen Novakovic, alto sulla città, si fa l'ultimo giro di grappa, gli avventori intonano Tamo daleko, una straziante canzone di addii.

Fuori è sottozero, i quartieri di Grbavica e Vraca sono deserti fin giù sul lungofiume. Nel buio dell'ultimo novilunio d'inverno, la città illuminata si stende come una nebulosa. L'aria è limpida, oltre i boschi le cime innevate della Bjelasnica mandano una debole luce fosforica. Tutto sembra straordinariamente immobile e al suo posto di sempre. La locanda di Tarik Hodzic fra le botteghe di Bascarsija, il giardino di gospar Ivo accanto all'antica fontana del Sepatarovac, il profilo asburgico della caserma Marsala Tita a luci spente dopo la tromba del silenzio.

Nel suo fondovalle, Sarajevo è calma. Eppure non ha motivi per esserlo. In ottobre l'Armata federale ha piazzato cannoni attorno a tutte le città bosniache. In febbraio ha sparso volantini per esortare i serbi a non votare l'indipendenza, poi ha permesso il blocco dei seggi elettorali in tutto il nord e l'est del paese. E il 2 marzo, subito dopo il referendum, ha lasciato esplodere, proprio qui a Grbavica, la prima fiammata di rivolta serba. Fucilate in aria, barricate sui ponti. Poi, una tregua.

In quella notte, sotto la Via Lattea, la tranquillità è di nuovo assoluta. In città nessuno ancora crede che una guerra sia possibile.

Ma nel suo ristorante, Mladen, abitualmente burlone, diventa di colpo nervoso. La compagnia canta gagliardamente Jelena, lui la fa smettere con un'occhiata. Schiaccia la sigaretta sul pavimento, si avvicina a un gruppo di avventori, parlotta. Abbassa le luci, chiude la cucina, congeda gli inservienti. E' strano, non è accaduto nulla, nessuna telefonata, nessun nuovo ospite.

Al mio tavolo, Mladen spiega sorridendo: presto tirerà brutta aria, è prudente andare. Dico che va bene, scendo a piedi, la notte è bella. Ma lui: no, meglio una scorta. Non faccio troppe domande. Un tale con fuoristrada mi porta a valle, fila per le vie deserte, poi mi scarica sul ponte di Vrbanja. Senza una parola, l'uomo riparte sgommando, ha fretta di abbandonare il centro. Strano, perché in centro, al contrario di Grbavica, la vita è quella di sempre. Bar aperti, musica, giovani per strada. La città dorme nella sua beata incoscienza.

Dopo dieci minuti, a Grbavica e Vraca si comincia a sparare, tornano le barricate sui ponti. Apparentemente è un altra fiammata passeggera, ma di lì a pochi giorni Novakovic chiude il suo ristorante e senza esitare prende la strada di Pale, quartier generale di Radovan Karadzic, sui monti sopra la città. Gli scontri veri inizieranno solo in aprile, eppure già alle idi di marzo i serbi di Grbavica chiudono le loro case, si spostano con armi e bagagli nei villaggi circostanti.

Per i serbi di Sarajevo - che Karadzic pretende essere tutti in pericolo di vita - dovrebbe essere un ordine di fuga generale: e invece no, quasi ovunque essi restano barricati in città, assieme alle altre etnie. In periferia, poi, mentre quelli di Nedzarici dichiarano immediata secessione, gli abitanti della vicina Dobrinja scelgono di battersi a mani nude per difendere Sarajevo.



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