Mia cugina Rachele by Daphne Du Maurier

Mia cugina Rachele by Daphne Du Maurier

autore:Daphne Du Maurier [Daphne du Maurier]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Neri Pozza
pubblicato: 2017-10-16T16:00:00+00:00


16.

Novembre e dicembre volarono via in fretta, o almeno così mi parve. Negli anni passati, le lunghe serate in casa mi erano parse monotone; le giornate erano brevi, il tempo era brutto, all’aperto non c’era molto da fare e alle quattro e mezza era già buio. Non ero mai stato un gran lettore ed ero poco socievole, ragion per cui non amavo andare a caccia con i miei vicini o uscire a cena con loro; mi limitavo ad attendere con impazienza la fine dell’anno quando, con Natale e le giornate più brevi ormai alle spalle, potevo cominciare a guardare all’inizio della primavera. E la primavera arriva presto, qui a occidente. I primi cespugli fioriscono che ancora non è Capodanno. Ma quell’autunno passò senza noia. Le foglie caddero, gli alberi erano spogli, le terre dei Barton erano brulle e fradice di pioggia, un vento gelido spazzava il mare, tingendolo di grigio. Ma non ne ero sconfortato.

Io e mia cugina Rachele ci eravamo dati un ritmo quotidiano che di rado subiva alterazioni, e sembrava gradito a entrambi. Quando il tempo lo consentiva, lei passava la mattinata in giardino a dare disposizioni a Tamlyn e agli altri lavoranti, o a controllare i progressi del vialetto panoramico che avevamo poi deciso di far costruire; era stato necessario assumere altre maestranze, oltre a quelle che di solito si occupavano dei boschi. Io intanto seguivo gli affari della tenuta, andavo a parlare con questo o con quel mezzadro, o a far visita a qualcuno negli altri distretti in cui possedevo qualche terra. Ci incontravamo verso mezzogiorno e mezzo per un pranzo veloce, di solito freddo: prosciutto, o un pasticcio, con del dolce. Quella era l’ora di pausa dei domestici e noi ci servivamo da soli. Lei di solito faceva colazione in camera, quindi il pranzo era il primo momento comune delle nostre giornate.

Mentre ero in giro per la tenuta o in ufficio, e udivo l’orologio del campanile battere i dodici rintocchi, seguiti quasi immediatamente dal suono della campana che richiamava gli uomini a pranzo, avvertivo chiaramente un senso di eccitazione, un fremito di gioia nel cuore.

Tutt’a un tratto quello che stavo facendo perdeva d’interesse. Se stavo cavalcando nel parco, nei boschi o sulle terre vicine, e sentivo echeggiare nell’aria il suono dell’orologio e della campana – arrivavano lontano, si sentivano fino a cinque chilometri quando il vento era a favore – tiravo in fretta e furia le redini e obbligavo Gypsy a voltarsi, come se tardando rischiassi di perdere anche un solo momento del pranzo. Lo stesso se mi trovavo in ufficio. Fissavo le carte sulla scrivania, mordicchiavo la penna, mi lasciavo cadere contro lo schienale della poltroncina; e ciò che stavo scrivendo all’improvviso mi pareva assolutamente inutile. Quella lettera poteva aspettare, quelle cifre non avevano bisogno di essere controllate, sull’affare di Bodmin si poteva prendere una decisione in un altro momento. Spingevo tutto da parte, lasciavo l’ufficio e tornavo in casa passando per il cortile.

Quando entravo in sala da pranzo, lei di solito era lì davanti a me, per darmi il benvenuto e augurarmi il buongiorno.



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