Naufragi by Álvar Núñez Cabeza de Vaca

Naufragi by Álvar Núñez Cabeza de Vaca

autore:Álvar Núñez Cabeza de Vaca
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 1989-12-14T16:00:00+00:00


La mia opera destò enorme sorpresa e ammirazione e ovunque non si faceva che parlare di me. Dove giungeva notizia delle mie guarigioni, gli indios venivano a cercarmi per farsi curare e ci chiedevano di benedire i loro figli. Quando gli indios "cutalchiches", che erano stati insieme ai nostri, dovettero ritornare alle loro terre, ci offrirono prima di partire fino all'ultimo fico che avevano serbato per il viaggio e delle selci lunghe un palmo e mezzo, da loro usate per tagliare e che tengono in grande conto. Ci pregarono di non dimenticarli e di chiedere a Dio che concedesse sempre loro salute e noi glielo promettemmo; così se ne andarono al colmo della felicità, dopo averci fatto dono di ogni loro bene. Contammo con la luna otto mesi di permanenza presso quegli indios "avavares". In tutto quel tempo molti furono gli indios venuti a cercarci, convinti che fossimo veramente figli del sole.

Dorantes e il negro fino ad allora non avevano mai curato; ma, a causa del gran numero di indios che da ogni parte venivano a cercarci, anche loro dovettero farsi medici. Dei tre, io ero il più famoso per il coraggio dimostrato nell'affrontare ogni tipo di cura e comunque non ci fu mai chi, da noi curato, dicesse di non essere guarito. Tale era la fiducia riposta in noi, che si erano convinti che, finché fossimo rimasti presso di loro, nessuno sarebbe mai morto. Da questi e dagli altri apprendemmo un fatto molto singolare accaduto secondo i loro calcoli perlomeno quindici o sedici anni prima. Dicevano che di lì era passato un uomo, che loro chiamano Mala Cosa[35], piccolo e barbuto; mai però erano riusciti a vedergli i tratti del viso. Di lui raccontavano che, quando si avvicinava alle loro case, gli indios tremavano dalla paura, con i capelli dritti sulla testa. All'improvviso compariva sulla porta di casa un tizzone ardente e, subito dopo, quell'uomo entrava, sceglieva a caso uno tra loro, lo accoltellava ai fianchi per tre volte con una selce acuminata, larga tre palmi e lunga due; poi infilava la mano nella ferita e ne estraeva le viscere. Tagliava quindi un pezzo di viscere della lunghezza di un palmo e lo gettava sul fuoco. Subito dopo vibrava tre coltellate su di un braccio, la seconda delle quali proprio sulla giuntura, e alla fine glielo staccava; di lì a poco, glielo riattaccava e gli metteva le mani sopra le ferite e gli indios affermavano che all'istante si rimarginavano. Spesso durante le loro feste, compariva tra loro, ora sotto sembianze femminili, ora maschili. Quando gli saltava per la testa, prendeva il "buhío" o casa e lo sollevava in alto e si lasciava cadere insieme ad esso con gran frastuono. Ci raccontarono, inoltre, che spesso gli offrivano da mangiare ma sempre rifiutava il cibo e, quando loro tentavano di sapere da dove venisse e da che parte avesse la sua casa, lui indicava una fenditura del terreno, dicendo che la sua casa era proprio lì sotto. Di fronte a questi racconti noi ridevamo molto e li schernivamo.



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