Nicolas by Nicola Gardini

Nicolas by Nicola Gardini

autore:Nicola Gardini [Gardini, Nicola]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Garzanti
pubblicato: 2022-05-02T22:00:00+00:00


Ritornò al lavoro e ricominciò a prendere lezioni di pianoforte. Voleva passare l’ottavo all’inizio dell’anno seguente. Quando aveva un’ora libera, mi aiutava ad appendere i quadri e a montare qualche mobile alla Source. Io andavo e venivo da Oxford. Finite le lezioni settimanali, correvo all’aeroporto. Restavo a Milano dal venerdì al lunedì.

L’ultimo giorno di aprile gli impiantarono un port-a-cath sotto la cute del pettorale destro. L’infusione dei farmaci sarebbe passata di lì. Il piccolo oggetto formava un rilievo quasi impercettibile, ma rappresentava pur sempre un intruso e procurava pur sempre una cicatrice, che andava ad aggiungersi a quella dell’operazione al cuore. Neppure di questa nuova ferita si lamentò mai. Qualche giorno dopo, il 7 maggio tornammo per l’infusione. Finalmente ci eravamo arrivati. Finalmente tutte le attese cessavano.

Il reparto non aveva nulla di deprimente. Vi entrava la luce del giorno, nell’aria si diffondevano canzonette, dalle stanze si vedevano gli alberi. Le infermiere trattavano i pazienti con gentilezza, sorridevano e non mancavano di rivolgere loro qualche battuta simpatica. Nicolas sedette in poltrona senza aver affatto l’aria del malato, senza segni di preoccupazione o di dispiacere. Sembrava seduto sulla poltrona del dentista. Portava una bella camicia indiana, punteggiata di uccellini, che gli avevo regalato da poco. Aprì il giornale e diede un morso al croissant. I farmaci cominciarono a gocciare nel suo corpo. Lui, per quanto fosse intento a leggere, non dimenticava di seguire il flusso della flebo e, non appena la sacca si era svuotata, schiacciava il campanello. Nella stanza, quella prima volta, c’erano anche altri due malati, un signore e una signora anziani. Loro tenevano gli occhi chiusi. Non li aveva accompagnati nessuno. Io, seduto su una sedia di fronte a lui, lavoravo al computer. A lui piaceva sentirmi scrivere, gli era sempre piaciuto. Lo chiamava «fare tic tic tic». Diceva che il suono della battitura lo tranquillizzava. Ogni tanto alzavo gli occhi, incontravo i suoi e ci mandavamo un bacio o ci facevamo l’occhiolino. A un certo punto, come ogni volta che facevo tic tic tic, si addormentò.

Fummo gli ultimi a finire. Era ormai l’ora di pranzo. L’infusione era durata oltre quattro ore. Prima che ce ne andassimo, l’infermiera gli collegò un’altra boccetta. Questa avrebbe impiegato quarantotto ore per esaurirsi, attaccata a lui giorno e notte. Per fortuna era abbastanza piccola da non intralciarlo né nel sonno né nell’esercizio della musica.

Suonò il piano tutto il pomeriggio. Non si sentiva per nulla stanco. Non sopraggiunse neppure la nausea. Ogni tanto gli dicevo di riposarsi. Lui, però, non ne vedeva la necessità. Era di buon umore, era contento di poter suonare. La nausea lo colse il giorno dopo, con la spossatezza. La sera ebbe qualche linea di febbre. Il terzo giorno gli venne un dolore alla gamba destra. Pensò a una semplice contrattura muscolare. Prendemmo un taxi e andammo all’ospedale per la rimozione della cannula. L’infermiera mi istruì sui passaggi della rimozione perché la prossima volta me ne occupassi io a casa, senza dover andare fin laggiù. Presi appunti: 1. chiudere morsetto, 2.



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