Noi by Paolo Di Stefano

Noi by Paolo Di Stefano

autore:Paolo Di Stefano [Stefano, Paolo Di]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Bompiani
pubblicato: 2020-05-19T22:00:00+00:00


2.

SULLA DARSENA

Il primo grande viaggio verso Nord ci portò in una casa vecchia sul lago di Como, via del Porto 2, la casa della darsena a Mandello del Lario, un giardino di erbacce, i panni stesi all’aperto, soprattutto pannolini di stoffa, nostra madre con le mani nei capelli da pazza, sembrava sempre incavolata col mondo, e lo era solo con una parte di mondo. Accoglieva ospiti di passaggio, amici, cugini e nipoti arrivati dalla Sicilia in cerca di lavoro o in divisa militare, zii e cugini in ferie o in villeggiatura, colleghi celibi di nostro padre, Franco Piccione il balbuziente, Lorenzo Giallongo il chimico, e Rina Latella, giovane angolosa professoressa di matematica, calabrese sola e magra, moderna, seducente con i suoi grandi occhiali a farfalla e i capelli cotonati. A parte Marcella Bella e la Brunetta dei Ricchi e Poveri, per le quali nostro padre stravedeva, nella lunga convivenza era stata la Latella l’unica donna di cui nostra madre fu veramente gelosa: “Non mi è mai piaciuto il modo di fare che aveva con vostro padre.”

I bambini in triciclo tra le erbacce, urlanti e festosi. “Eravamo felici senza saperlo,” dice ancora oggi zio Ernesto, ripensando a quegli anni, a quella casa con giardino e sterpaglia, a quella gazzarra continua. La frase è la sua. Poi tutto sarebbe precipitato nel buio e nel dolore. Eravamo in bilico senza saperlo.

Era una vecchia casa sul lago, grigia, dai muri scalcinati e le portefinestre verdi, i battelli che viaggiavano davanti al nostro freddo e la Grigna che incombeva alle spalle spargendo intorno solo brina. Gruppo di famiglia in un esterno visibilmente invernale. Tutti in braccio a zio Salvatore, il fratello di nostra madre: seduto su un gradino davanti al portone, tiene sulle gambe tre bambini in contorto movimento, il primo, il secondo e il terzo nipote, tra le dita una sigaretta e nella mano destra regge un bicchiere. Eppure sorride nello sforzo dell’equilibrio: potrebbe essere un bell’attore giovane del neorealismo italiano. Dietro di lui, in piedi, cinque donne serissime, ingrugnite, minacciose ognuna a suo modo: zia Liliana le mani in tasca come un uomo, alla sua destra una ignota vecchia con ampio collo di pelliccia, a sinistra un’altra vecchia signora le mani suoresche chiuse sulla pancia, la mamma come sempre imbacuccata nei suoi pensieri, maglione bianco di lana le braccia incrociate al petto, una cugina tozza, Franca, la prediletta di nonna Mariannina, quella che avrebbe ereditato la casa di via Torino senza mai abitarla, affittarla, venderla: semplicemente l’ha lasciata chiusa e basta, abbandonata con dentro i piatti, le posate, i vecchi mobili, compresa la nostra credenza. Una stamberga in cui i fantasmi scorrazzano da decenni senza problemi tra le tele di ragno, le muffe e gli scarafaggi. Fastidioso ghiaietto ai nostri piedi.

La vecchia casa a due piani faceva paura alla nostra mamma, troppo vicina al lago, troppo grande e troppo decrepita, alle pareti troppa carta di velluto bordò o verde muschio, troppo piena di mobili accatastati ovunque, troppa polvere, troppa umidità, forse anche troppi



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