Piangi pure by Lidia Ravera

Piangi pure by Lidia Ravera

autore:Lidia Ravera [Ravera, Lidia]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: EPUB9788858759370-92262
editore: Bompiani
pubblicato: 2013-01-23T16:00:00+00:00


7 dicembre

Entro nel bar all’ora solita. L’ho fatto anche ieri. Ma ieri lui non c’era e pensavo che non ci sarebbe stato neanche oggi.

Invece è entrato un minuto dopo di me, mi è parso che mi cercasse con gli occhi. Non ero appoggiata al bancone o seduta al nostro tavolino. Guardavo le scatole dei dolci dietro il vetro, in piedi davanti allo scaffale, in fondo al bar.

Volevo sistemare nello studio una scatola di cioccolatini.

Come se fosse lì per abitudine.

Come se io fossi una di quelle donne che hanno sempre fiori freschi nei vasi e cioccolatini in una ciotola d’argento.

Ho sentito la voce di Omar.

“Signora Iris laggiù.”

Mi sono voltata con una certa maestà.

“Sei tornato…”

Tono stupito, non avrei dovuto. Mi ero quasi convinta che Annalisa lo avesse recluso per sempre ai domiciliari, ma non volevo farglielo capire.

“È ancora valida la tua offerta?” ha detto.

Mi sono esibita in un sorriso di pura ebetudine.

Poi ho detto qualcosa di puerile, tipo “che bello!”

E ho addirittura battuto le mani. Un colpo solo. Come una bambina golosa di fronte a qualcosa di buono.

Se si è accorto di quella improvvisa regressione, non l’ha dato a vedere.

Ha detto:

“Posso salire a vedere il locale?”

Abbiamo bevuto il caffè.

E siamo usciti insieme. Ho dovuto rallentare il passo.

L’istinto sarebbe stato di aiutarlo, soprattutto mentre saliva i pochi scalini verso l’ascensore.

Non mi erano mai sembrati così alti.

Ero combattuta. Alla fine, visto che non so stare zitta, gliel’ho detto.

“Ti do una mano?”

“Se ho bisogno di aiuto te lo chiedo.”

Aveva un tono secco o era il suo solito tono?

Mi sono tormentata per ore su questo problema di interpretazione. Ed è un peccato, perché non mi sono goduta la sua presenza quanto avrei potuto.

“È una bella stanza,” ha detto.

Ha saggiato il letto trasformato in divano, ci si è seduto.

Non aveva termini di paragone, quindi non ha potuto misurare l’entità dei lavori di adeguamento dello spazio.

“Sei sicura di potertene privare?”

“Sicura. Non scrivo più. Che me ne faccio di uno studio?”

“E il diario?”

“Certo che lo scrivo il diario. Io le prendo sul serio le tue prescrizioni. Ma i diari si scrivono a letto, o su un angolo del tavolo della cucina. Sono scritture private. La pompa di un luogo preposto alla scrittura mi costringerebbe a curare la prosa.”

“E non vuoi?”

“Stiamo di nuovo parlando di me.”

“Non mi hai mai detto se ha funzionato, la terapia?”

“In un certo senso sì.”

“Hai imparato a dare risposte politiche.”

“Quali sono le risposte politiche?”

“Quelle che non rispondono.”

C’era qualcosa fra noi, un silenzio d’acqua. Come se fossimo affondati da qualche parte e non avessimo alcun desiderio di riemergere.

Abbiamo continuato a parlare.

Un palleggio lento.

“Scrivere mi è servito per rimettere in moto l’attenzione. Adesso, per esempio: cerco di trattenere le tue parole, perché le scriverò questa sera sul diario.”

“Dunque non si tratta di un freddo elenco di sintomi ansiosi.”

“Si comincia ad allineare sintomi e si finisce per interrogarsi sulle cause.”

“Quindi dovrei dirti qualcosa sulle cause.”

“No, visto che non ti pago.”

“E se volessi sdebitarmi per la tua cortese ospitalità?”

“In questo caso sì, grazie.”

È rimasto quasi un’ora. Poi è sceso in quello che sarà ancora il suo studio fino alle vacanze di Natale.



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