Primo Levi di fronte e di profilo by Marco Belpoliti

Primo Levi di fronte e di profilo by Marco Belpoliti

autore:Marco Belpoliti [Belpoliti, Marco]
La lingua: ita
Format: epub, azw3
Tags: Literary Criticism, General
ISBN: 9788823513716
editore: Guanda
pubblicato: 2015-09-01T22:00:00+00:00


Cane

Come si è detto, questo è l’animale più presente nelle opere di Levi. Secondo Jane Nystedt, che ha compiuto anni fa uno spoglio elettronico dell’intera opera dello scrittore torinese, edita allora in volume, la parola «cane» ricorre ben 147 volte; è il nome di animale più frequente, seguito da: cavallo (144), gatto (69), coniglio (51), gallina (48), pidocchio (44), pollo (27), farfalla (41), serpente (39), formica (36). In effetti, il cane è l’animale maggiormente legato al Lager e al suo universo concentrazionario. Quando si aprono le porte del vagone bestiame, con cui Levi e i suoi compagni sono stati trasferiti da Fossoli ad Auschwitz, la prima cosa che si ode sono «quei barbarici latrati dei tedeschi quando comandano» (p. 13, vol. I). Il cane s’identifica con l’oppressore, e questo non solo per Levi; gran parte della letteratura dedicata alla Shoah, come scrive Daniela Amsallem (Le Symbolisme du chien: Primo Levi et la littérature juive après la Shoah), è ossessionata dalla figura del cane (Yoram Kaniuk, Elie Wiesel).

Gli ordini incomprensibili, urlati, secondo la tradizione del Dill, la feroce pratica militaresca prussiana di cui parla Levi in I sommersi e i salvati, sono compendiati dall’immagine dei latrati «che sembrano dar vento a una rabbia vecchia di secoli» (p. 13, vol. I). L’immagine a cui Levi rimanda è quella di Cerbero, cane con tre teste, coda e crini di serpente che «caninamente latra» nel sesto canto dell’Inferno. È un’immagine di origine letteraria, ma c’è sempre un sottotesto in Levi, tanto che l’animale, per quanto fissato a un codice di significati precisi – in questo caso il cane come custode infernale, secondo una antica tradizione –, ne assume tuttavia anche altri. Il cane è un’immagine negativa, in cui Levi raramente si identifica, cosa che accade invece per altri animali, e se lo fa è per indicare una condizione di abbrutimento procurato con la forza, non una metamorfosi.

In Se questo è un uomo abbiamo il cane come limite estremo oltre il quale si ha la pura degradazione (Resnyk commenta: «‘Si j’avey une chien, je ne le chasse pas dehors’», p. 65, vol. I); il cane come forma della degradazione stessa: Elias, dotato di vigore bestiale, possiede una «piccola zampa adunca» (p. 93, vol. I); fino ad arrivare al gesto del lappare la zuppa a cui il Lager obbliga i deportati. Il cane non solo è il custode, ma anche l’assalitore interiore («che mi assalta come un cane all’istante in cui la coscienza esce dal buio», p. 138, vol. I). E non si tratta solo di una presenza immaginaria, poiché i tedeschi usano nel Lager cani addestrati per sbranare gli uomini (Appendice a Se questo è un uomo). La voce del cane è la voce animale per eccellenza, il limite inferiore della Babele, quello infero (le grottesche voci che parlano lingue tanto diverse sono «voci di animali»).

L’asservimento sonoro è parte importante della distruzione dell’uomo sperimentata nel Lager; l’urlo delle sirene dell’allarme aereo è definito in Cerio, Il sistema periodico, come l’elaborato di un musico malefico, «che



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