Principj Di Scienza Nuova by Giambattista Vico

Principj Di Scienza Nuova by Giambattista Vico

autore:Giambattista Vico [Vico, Giambattista]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-12-15T07:57:14+00:00


Per tutto ciò hassi a conchiudere che queste contese eroiche fecero il nome all’età degli eroi; e che in esse molti capi, vinti e premuti, con quelli delle lor fazioni si fussero dati ad andar errando in mare per ritruovar altre terre; e che altri fussero finalmente ritornati alle loro patrie, come Menelao ed Ulisse; altri si fussero fermati in terre straniere, come Cecrope, Cadmo, Danao, Pelope (perocché tali contese eroiche eran avvenute da molti secoli innanzi nella Fenicia, nell’Egitto, nella Frigia, siccome in tali luoghi aveva prima incominciato l’umanità), i quali si fermarono nella Grecia.

Come una d’essi dev’essere stata Didone, che, da Fenicia fuggendo la fazione del cognato, dal qual era perseguitata, si fermò in Cartagine, che fu detta « Punica», quasi « Phoenica»; e, di tutt’i troiani, distrutta Troia, Capi si fermò in Capova, Enea approdò nel Lazio, Antenore penetrò in Padova.

In cotal guisa finì la sapienza de’ poeti teologi, o sia de’ sappienti o politici dell’età poetica de’ greci, quali furono Orfeo, Anfione, Lino, Museo ed altri; i quali, col cantare alle plebi greche la forza degli dèi negli auspìci (ch’erano le lodi che tali poeti dovettero cantar degli dèi, cioè quelle della provvedenza divina, ch’apparteneva lor di cantare), tennero esse plebi in ossequio de’ lor ordini eroici. Appunto come Appio, nipote del decemviro, circa il trecento di Roma, com’altra volta si è detto, cantando a’ plebei romani la forza degli dèi negli auspìci, de’ quali i nobili dicevano aver la scienza, gli mantiene nell’ubbidienza de’ nobili. Appunto come Anfione, cantando sulla lira, de’

sassi semoventi innalza le mura di Tebe, che trecento anni innanzi aveva Cadmo fondato, cioè vi conferma lo stato eroico.

7.

COROLLARI D’INTORNO ALLE COSE ROMANE ANTICHE E PARTICOLARMENTE

DEL SOGNATO REGNO ROMANO MONARCHICO E DELLA SOGNATA LIBERTÀ

POPOLARE ORDINATA DA GIUNIO BRUTO.

Queste tante convenienze di cose umane civili tra romani e greci, onde la storia romana antica a tante pruove si è qui truovata esser una perpetua mitologia istorica di tante, sì varie e diverse favole greche, chiunque ha intendimento (che non è né memoria né fantasia) pongono in necessità di risolutamente affermare che, da’ tempi degli re infino a’ connubi comunicati alla plebe, il popolo romano (il popolo di Marte) si compose di soli nobili; e ch’a tal popolo di nobili il re Tullo, incominciando dall’accusa d’Orazio, permise a’ rei condennati o da’ duumviri o da’ questori l’appellagione a tutto l’ordine, quando i soli ordini eran i popoli eroici, e le plebi erano accessioni di tali popoli (quali poi le provincie restarono accessioni delle nazioni conquistatrici, come l’avvertì ben il Grozio); ch’appunto è l’«altro popolo» che chiamava Telemaco i suoi plebei nell’adunanza che noi qui sopra notammo. Onde, con forza d’un’invitta critica metafisica sopra essi autori delle nazioni, si dee scuotere quell’errore: che tal caterva di vilissimi giornalieri, tenuti da schiavi, fin dalla morte di Romolo avessero l’elezione degli re, la qual poi fusse appruovata da’ padri. Il qual dee esser un anacronismo de’ tempi ne’ quali la plebe aveva già parte nella città e concorreva



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