Quarks! by Sconosciuto

Quarks! by Sconosciuto

autore:Sconosciuto [Sconosciuto]
La lingua: ita
Format: epub
ISBN: 9788869936418
editore: Elliot
pubblicato: 2018-07-11T22:00:00+00:00


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Arriviamo all’ospedale di Civitavecchia senza dirci una parola.

Il reparto psichiatrico è al piano terra, la prima a destra dopo un lungo corridoio. Rispetto al Sant’Andrea abbiamo recuperato tre piani in altezza.

La porta che separa i due mondi – pazzi che circolano liberamente e pazzi dentro al reparto – è di acciaio, pesante quanto quella di un caveau di una banca.

Una targhetta ci ricorda cosa non possiamo portare dentro: forbici, coltelli, cibo, acqua, caffè, praticamente tutto. Citofoniamo e diciamo che siamo i parenti di una degente appena portata qui, Silvana Angelis.

Uno scatto metallico ci fa capire che possiamo entrare.

Per due settimane, ogni volta che entriamo o usciamo veniamo perquisiti dal capo sala, lo stesso che ci apre e chiude la porta. Perché un ricovero coatto può durare al massimo una settimana prorogabile a due. Nei casi più disperati, considerato il tempo limitato che la legge mette a disposizione di questi medici per rinchiuderti, il degente viene convinto a ricoverarsi spontaneamente per qualche settimana, per poi volturare durante la permanenza quel ricovero spontaneo in TSO.

Con questo trucco si può arrivare, senza condanna, a un mesetto e mezzo di galera.

Appena varco l’uscio, mi colpisce l’odore che emana questo posto.

Ogni reparto di ospedale ha una fragranza riconoscibile, un qualcosa di solo suo, personalizzato come il nome e cognome del primario o il nome del reparto stampato a forza di lettere sopra alla vetrata dell’ingresso.

Nei reparti psichiatrici l’odore è quello dell’urina, del sudore, del fumo di sigaretta, dei capelli sporchi e del disinfettante che vendono nei discount, il tutto marinato in un calore intenso che non muta con le stagioni.

Ma oltre a una presenza forte, l’odore, la cosa che mi ferisce gli occhi è una mancanza. Ho annusato bene. Qui manca la speranza di guarire.

Anche in un reparto tremendo da visitare e ancor peggio da soggiornarvi come quello pediatrico puoi scorgere la speranza nei sorrisi forzati dei genitori dei piccoli pazienti e negli sguardi morbidi dei dottori, dopo che hai varcato la sala d’attesa ricamata con cestini di fiori. Ma qui, in un reparto psichiatrico, non ci sono biglietti di auguri di pronta guarigione e neanche palloncini, ma solo un dilagante senso di rovina senza tempo. Il destino ha fatto lo sgambetto a queste persone, frantumandole in mille pezzi. E mentre vedo Simona che, stralunata, cerca di capire la procedura per far visita alla mamma, penso che una cosa simile possa capitare a chiunque, a prescindere dall’avere una bella casa o una moglie che ti adora.

Uno scatto più nervoso del solito, troppo tempo passato a spazzolarsi i capelli, ogni cosa potrebbe essere un primo segno di una futura follia.

Nel cervello di chiunque può nascondersi qualcosa, annidato nell’ombra.

Per mesi. Per anni. Per decenni. In attesa.

A parte l’odore, quanto entriamo il reparto è un’oasi di tranquillità.

Se ci fossero mare e ombrelloni invece di sbarre e camici, penserei a dei villeggianti che si godono un meritato relax. Sono tranquilli perché sono assenti, non ci sono.

Ci sono solo i corpi, che deambulano lungo la corsia, oppure fumano nella sala



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