Racconti by Isaac B. Singer

Racconti by Isaac B. Singer

autore:Isaac B. Singer
La lingua: ita
Format: mobi, epub
editore: Corbaccio
pubblicato: 2012-11-15T23:00:00+00:00


5

Temevo che continuasse a telefonarmi. Mi riproposi persino di far cambiare il mio numero telefonico. Ma trascorsero settimane e non ebbi mai sue notizie né la vidi mai. Non ebbi occasione di andare alla tavola calda. Ma pensai spesso a Esther.

Come può il cervello produrre simili incubi? Che cosa passa in quel pochino di materia molliccia che sta in una scatola cranica? Chi mi garantisce che fenomeni simili non accadano anche a me? E come facciamo a sapere se la specie umana non finirà in questo modo? Mi sono trastullato con l’idea che tutta l’umanità soffra di schizofrenia. Insieme con l’atomo, è andata frazionandosi anche la personalità dell’Homo sapiens. Quando si tratta di tecnologia, il cervello funziona ancora, ma in tutti gli altri campi la sua degenerazione è incominciata. Tutti sono pazzi: i comunisti, i fascisti, i predicatori della democrazia, gli scrittori, i pittori, il clero, gli atei. Presto anche la tecnologia si disintegrerà. Gli edifici crolleranno, le centrali elettriche smetteranno di produrre elettricità. I generali lasceranno cadere bombe atomiche sulle loro stesse popolazioni. Rivoluzionari folli correranno per le strade, urlando slogan stravaganti. Spesso ho pensato che tutto questo incomincerà a New York. Questa metropoli cova tutti i sintomi di una pazzia furiosa.

Ma poiché la follia non ha ancora preso completamente il sopravvento ci si deve comportare come se regnasse ancora l’ordine: secondo il principio di Vaihinger del «come se». E continuai a scribacchiare. Inviai manoscritti all’editore. Tenni conferenze qua o là. Quattro volte all’anno spedii i debiti assegni al governo federale, allo Stato. Quanto mi rimaneva netto da spese lo misi in casse di risparmio. Un cassiere annotò i suoi bravi numeri sul mio libretto di deposito, segno evidente che ero ben provvisto. Qualcuno stampò il mio nome con qualche riga su una rivista o su un giornale, e fu segno che la mia quotazione come scrittore era salita. Vidi con meraviglia che tutte le mie fatiche si trasformavano in carta. Il mio appartamento era un unico grande cestino di carta straccia. Tutta quella carta diventava di giorno in giorno più secca e più infiammabile. Mi svegliavo di notte con il timore che prendesse fuoco. Sentivo di continuo le sirene dei pompieri.

Era passato un anno dall’ultima volta che avevo visto Esther. Dovevo andare a Toronto per leggere un mio studio sull’yiddish nella seconda metà del diciannovesimo secolo. Misi qualche camicia nella valigia, e una quantità di carte e documenti, tra i quali un certificato di cittadinanza degli Stati Uniti. Avevo in tasca banconote sufficienti per pagare un taxi fino a Grand Central. Ma sembrava che i taxi avessero da fare. Quelli che non erano occupati rifiutavano di fermarsi. Gli autisti non mi scorgevano? Ero diventato improvvisamente uno di quelli che vedono ma non sono visti? Stabilii di prendere la sotterranea. Lungo il percorso, vidi Esther. Non era sola, l’accompagnava un uomo che avevo conosciuto anni addietro, poco dopo il mio arrivo negli Stati Uniti. Era cliente abituale di una tavola calda di East Broadway. Aveva l’abitudine di sedersi a un tavolo, esprimere opinioni, criticare, lagnarsi.



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