Salgari Emilio - Pirati Malesia 06 - 1907 - Alla conquista di un impero by Salgari Emilio

Salgari Emilio - Pirati Malesia 06 - 1907 - Alla conquista di un impero by Salgari Emilio

autore:Salgari Emilio [Salgari Emilio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Narrativa, Avventura, Sandokan
editore: bandinotto
pubblicato: 2012-08-26T16:51:55+00:00


– È un affare che riguarda te. Vieni Tremal-Naik: quest’uomo comincia a diventare noioso. –

A cinquanta passi dalla gradinata s’alzava uno splendido lauro sotto il quale i malesi avevano stesi alcuni tappeti e collocati alcuni cuscini.

Sandokan e Tremal-Naik, seguiti da Kammamuri, si diressero verso quella pianta e si sdraiarono sotto la fitta ombra accendendo le loro pipe. Il gussain non cessava di urlare come un dannato, chiedendo acqua.

Il pimento cominciava a fare i suoi effetti, tanagliandogli le viscere.

– All’altro ora, – disse la Tigre della Malesia. – Kammamuri va’ a prendere il demjadar.

– Terremo la corte di giustizia sotto quest’albero? – chiese Tremal-Naik scherzando.

– Siamo più sicuri qui che nella pagoda – rispose Sandokan.

– Eh non so, amico! Tu dimentichi che siamo in mezzo ad una jungla.

– Finché i miei uomini battono i bambù non abbiamo nulla da temere.

– Pronunceremo un’altra sentenza?

– Tutto dipenderà dalla buona o cattiva volontà del prigioniero. –

Kammamuri tornava in quel momento col capitano dei seikki. Era questi un bel tipo di montanaro indiano, d’una robustezza eccezionale, con una lunga barba nerissima che dava maggior risalto alla sua pelle appena abbronzata e con due occhi pieni di fuoco.

Essendogli state slegate le mani, salutò militarmente Sandokan e Tremal-Naik, portando la destra sull’immenso turbante bianco colla calotta rossa ricamata in oro, che gli copriva la testa.

– Siedi amico, – gli disse la Tigre della Malesia. – Tu sei un uomo di guerra e non già un gussain. –

Il demjadar che conservava una calma degna d’un vero soldato, obbedì senza batter ciglio.

– Io voglio sapere da te se hai preso parte al rapimento d’una principessa indiana insieme col fakiro.

– Io non ho mai avuto alcun rapporto con quell’uomo, – rispose il seikko quasi con disprezzo. – Io sono mussulmano come tutti i miei compatriotti e non mi occupo dei santoni.

– Dunque tu non sai nulla di quel rapimento.

– È la prima volta che odo parlare di ciò. Poi io non mi occuperei di tali cose.

Affrontare dei nemici sia pure; lottare con delle donne che non possono difendersi, mai! I seikki della montagna sono guerrieri.

– Chi ti ha incaricato di assalirci?

– Il rajah.

– Chi aveva detto a S. Altezza che noi abitavamo nella pagoda sotterranea?

– Io sono abituato a obbedire alle persone che mi pagano e non di chiedere i loro affari, – rispose il seikko.

– Quanto ti dà il rajah all’anno?

– Duecento rupie.

– Se vi fosse un uomo che te ne offrisse mille, lasceresti il rajah? –

Gli occhi del demjadar lampeggiarono.

– Pensaci, – disse Sandokan, a cui non era sfuggito quel lampo che tradiva una intensa cupidigia. – Mi risponderai su ciò più tardi.

Ora voglio sapere altre cose.

– Parla, sahib.

– Sei tu che comandi la guardia reale?

– Sì, sono io.

– Di quanti uomini si compone?

– Di quattrocento.

– Tutti valorosi? –

Un sorriso quasi di disprezzo spuntò sulle labbra del demjadar.



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