Senza un soldo a Parigi e a Londra by George Orwell

Senza un soldo a Parigi e a Londra by George Orwell

autore:George Orwell [Orwell, George]
La lingua: ita
Format: epub, mobi
Tags: Classici stranieri
editore: Mondadori
pubblicato: 1931-12-31T23:00:00+00:00


Capitolo ventunesimo.

Continuai a fare questa vita per una quindicina di giorni, con il lavoro che aumentava a mano a mano che aumentavano i clienti del ristorante. Avrei potuto risparmiare un'ora al giorno prendendo una stanza vicina al ristorante, ma sembrava impossibile trovare il tempo per cambiare alloggio, o addirittura per farsi tagliare i capelli, dare uno sguardo al giornale o persino spogliarsi completamente. Dopo dieci giorni feci in modo di strappare un quarto d'ora e scrissi al mio amico B. di Londra, pregandolo di trovarmi un lavoro qualsiasi che mi concedesse più di cinque ore di sonno. Semplicemente non ce la facevo a lavorare diciassette ore al giorno, anche se una quantità di gente non ci fa gran caso. Quando si è sovraccarichi di lavoro è una buona cura contro l'autocommiserazione pensare alle migliaia di persone che nei ristoranti di Parigi fanno orari simili, e continueranno a farli non per qualche settimana, ma per anni. C'era una ragazza in un bistrot vicino al mio albergo, che per un intero anno lavorò dalle sette del mattino a mezzanotte, sedendosi solo per mangiare. Ricordo che una volta la invitai ad andare a ballare, e lei si mise a ridere e disse che da mesi non oltrepassava l'angolo della strada. Era tisica e morì suppergiù all'epoca in cui me ne andai da Parigi.

Dopo una sola settimana la stanchezza ci aveva resi tutti nevrastenici, eccetto Jules, che continuava a pigliarsela comoda. I litigi, dapprima intermittenti, erano diventati continui. Si seguitava per ore in uno stillicidio d'inutili brontolii, che ogni poco si gonfiavano in uragani d'insulti.

«Tirami giù quella pentola, idiota!» gridava la cuoca (non era abbastanza alta per arrivare agli scaffali dove tenevamo le pentole). «Tiratela giù da sola, vecchia puttana» rispondevo io. Frasi del genere sembrava si generassero spontaneamente nell'aria della cucina.

Litigavamo per cose di una meschinità inconcepibile. La pattumiera, per esempio, era fonte inesauribile di litigi: se bisognava metterla dove volevo io, cioè dalla parte della cuoca, o dove voleva lei, cioè tra me e il lavabo. Una volta lei la fece così lunga con questa storia che alla fine, per puro dispetto, presi la pattumiera e la misi in mezzo alla stanza, in modo che lei c'inciampasse continuamente.

«E adesso, vacca» le dissi, «spostatela da sola.»

Povera vecchia, era troppo pesante perché potesse alzarla; così si mise a sedere, appoggiò la testa sul tavolo e scoppiò in lacrime. E io le feci il verso. Questi sono gli effetti della stanchezza sul comportamento delle persone.

Dopo alcuni giorni la cuoca aveva smesso di parlare di Tolstoj e del proprio temperamento artistico, e io e lei ci rivolgevamo la parola solo per motivi di lavoro; anche Boris e Jules non si rivolgevano la parola, e nessuno dei due la rivolgeva alla cuoca. Persino Boris e io quasi non ci parlavamo. Avevamo deciso, in precedenza, di non tener conto negli intervalli delle "engueulades" delle ore di lavoro, ma ci dicevamo cose che non era facile dimenticare, e poi intervalli non ce n'erano. Jules diventava sempre più pigro e rubava continuamente roba da mangiare: per senso del dovere, diceva lui.



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