Suite 200. L'ultima notte di Ayrton Senna by Giorgio Terruzzi

Suite 200. L'ultima notte di Ayrton Senna by Giorgio Terruzzi

autore:Giorgio Terruzzi
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Ayrton Senna, Suite 200, Formula 1, automobilismo, Gran premio, San Marino, 66thand2nd, Vite inattese, Giorgio Terruzzi, Brasile
pubblicato: 2014-04-06T16:00:00+00:00


Ore 3.20

Le luci nella suite sono spente, si è infilato sotto le coperte. Si prepara a prendere sonno, ma è completamente sveglio, con la testa occupata a ricomporre schegge di conversazioni mentre compaiono solo i gesti della guida, il suono del motore attutito dal casco, il profumo dell’adrenalina. È un rifugio temporaneo ma caldo e attrezzato.

Il muso della macchina che punta a destra e poi a sinistra. Procede e scova la linea giusta. Sobbalzi sempre meno marcati, piallati dall’accelerazione. Il panorama tagliato a una velocità crescente sino a diventare una successione di tratti colorati. Riflessi. Lampi di luce, oggetti metallici colpiti dal sole.

In macchina, in pista.

Le cinture strette con forza dai meccanici mentre caccia fuori l’aria dai polmoni, la cassa toracica aspirata.

Il sedere, i fianchi, la schiena fusi con il telaio. Le giunture dell’asfalto come briciole di pane dentro il letto, individuate una per una, localizzate, segnate, memorizzate anche quelle sulla sua mappa, la mappa del tesoro.

Dita come estremità meccaniche, ogni tocco calibrato, svelto, artigli ad alta precisione.

Spigoli dolci di cordoli, colpi secchi, gomme pizzicate come corde di violino, il polso rigido, mai un’esitazione e la musica, la musica che bolle, ribolle, divampa. Un’orchestra gonfia.

Percussioni, zoccoli di purosangue, tamburi, la batteria di una scuola di samba che pompa, insiste, scuote. Sberle, colpi, calci nel culo, nelle reni, scanditi da una ritmica decifrata, come note di una partitura memorizzata per l’eternità.

Un sasso scagliato dalla fionda. Il nido dei vantaggi, colto in segreto, centrato in pieno. Millesimi di secondo raccolti, presi su, a bordo, come pepite, messi via, in tasca, sino ad avvertirne il peso, sempre più rilevante, curva dopo curva, giro dopo giro.

Occhi e scacchi, il muso: un becco. Il caos per fare pulizia.

Ordine? Eccolo, eccolo qui. Una meraviglia. Questo sapeva fare. Questo sì. Questo aveva fatto, soprattutto, sin lì.

Il senso non stava in alcuna vetrina. Stava in una natura, la sua, che per un solo verso, un unico canale, riceveva linfa, appagamento, un’oscura compiutezza.

Il senso stava in un conforto privato, in una grandezza svelata, non dichiarabile eppure capace di sorprenderlo ancora, di sedare un’inquietudine perennemente allertata, di rilanciarlo in un luogo dove nessuno sarebbe approdato mai. Nessuno, mai.

Dormire proprio no, non ancora. Si ritrova seduto di nuovo, con la schiena appoggiata alla testata del letto. Agguanta un secondo cuscino per stare più comodo e si accorge di aver assunto una postura simile a quella che tiene dentro l’abitacolo. Sul grande letto disfatto ha ormai accumulato le immagini dei suoi atti mancati, sbagliati, i nodi del passato, i grumi del suo presente denso. Ma adesso, su quel pianale morbido, può esporre dell’altro. Un conforto. Gli ingranaggi della propria felicità.

Di quale patrimonio disponesse, nascosto nel cuore, nel cervello, l’aveva scoperto prestissimo. Una rivelazione accudita e poi allevata con una cura da maniaco, con la voglia di rivelarla a rate sempre più massicce. Di trasferire in pista il proprio oro non si era mai accontentato. Preso com’era da un’idea di giustizia, aspirava a una dimensione più alta, verso la quale muoversi seguendo un sistema etico, autarchico e perentorio.



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