Tre camere a Manhattan by Georges Simenon

Tre camere a Manhattan by Georges Simenon

autore:Georges Simenon
La lingua: ita
Format: mobi, epub
editore: Yorikarus @ TNTVillage
pubblicato: 2013-08-11T22:00:00+00:00


6.

Si erano alzati molto presto, senza rendersene conto, talmente convinti di aver dormito per un'eternità che a nessuno dei due venne in mente di guardare l'ora.

Fu Kay che, aprendo le tende, esclamò:

«Vieni a vedere!».

E, per la prima volta da quando abitava lì, François vide il piccolo sarto ebreo non più appollaiato alla turca sul suo tavolo da lavoro, ma seduto, come fanno tutti, su una sedia; una vecchia sedia impagliata che doveva essersi portato dietro, molto tempo prima, da qualche remota località della sua Polonia o della sua Ucraina. Con i gomiti sul tavolo, intingeva delle grosse fette di pane in una ciotola di ceramica a fiori e guardava tranquillamente davanti a sé.

Sopra la sua testa era ancora accesa la lampadina elettrica che di sera lui spostava mediante un filo di ferro per poterci vedere mentre lavorava.

Mangiava lentamente, con aria solenne, e aveva davanti agli occhi solo un muro al quale erano appesi un paio di forbici e dei modelli in grossa carta grigia.

«Ecco il mio amico» disse Kay. «Dovrò escogitare qualcosa che gli faccia piacere».

Loro, infatti, erano felici.

«Lo sai che sono appena le sette?».

Eppure non si sentivano affatto stanchi, provavano solo un immenso e profondo benessere che li induceva a sorridere, di tanto in tanto, per le ragioni più futili.

Mentre lei si vestiva, lui versava l'acqua bollente sul caffè e intanto rifletteva ad alta voce:

«Doveva esserci qualcuno, ieri sera, a casa della tua amica, visto che la luce era accesa».

«Però non credo che Jessie sia tornata».

«Ti andrebbe di recuperare la tua roba, vero?».

Era una proposta generosa, da parte sua, e Kay lo avvertì, ma non osava ancora accettare.

«Senti» continuò lui. «Ti ci accompagno io. Tu sali e io ti aspetto giù».

«Davvero?».

François sapeva benissimo a cosa stesse pensando, al rischio, cioè, d'incontrare Enrico, oppure Ronald, come lei chiamava confidenzialmente il marito dell'amica.

«Ci andremo».

Ci andarono, e così di buonora che la strada aveva, ai loro occhi, un aspetto nuovo, come un sapore del tutto sconosciuto. Probabilmente sia all'uno che all'altro era già capitato di camminare per le strade al mattino presto, ma non lo avevano ancora fatto insieme. E, pur avendo tanto vagabondato, di notte, su e giù per i marciapiedi, dentro e fuori dai bar, adesso avevano la sensazione di lavarsi l'anima nella freschezza mattutina, nell'allegro, caotico trambusto di una città che si fa bella per la giornata che comincia.

«Guarda: c'è una finestra aperta. Tu sali. Io resto qui».

«Preferirei che venissi con me, François. Ti prego...».

Salirono su per la scala, che era pulita, senza pretese, di tono medioborghese. Davanti a qualche porta c'era uno zerbino, e al secondo piano una domestica lustrava il campanello di ottone facendo ballonzolare due grossi seni gelatinosi.

Lui si rendeva conto che Kay aveva un po' paura: quello che stavano facendo era una sorta di esperimento. Eppure ai suoi occhi tutto appariva estremamente semplice, e la casa, una casa decorosa come tante, non aveva niente di misterioso.

Kay suonò, e le sue labbra fremevano d'impazienza mentre lo guardava e gli stringeva furtivamente il polso per farsi coraggio.

Alla scampanellata che echeggiò nel vuoto non seguì alcun rumore.



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