Tronti, Mario by Operai e capitale

Tronti, Mario by Operai e capitale

autore:Operai e capitale [capitale, Operai e]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Etica e Filosofia, Politica Economia Sociologia
editore: DeriveApprodi
pubblicato: 2014-06-24T22:00:00+00:00


6. Il lavoro produttivo

Nel senso della produzione capitalistica, lavoro produttivo è il lavoro salariato che, nello scambio con la parte variabile del capitale, non sono riproduce questa parte del capitale, ma produce anche un plusvalore per il capitalista. «È produttivo soltanto il lavoro salariato che produce capitale. Ciò significa che esso riproduce, accresciuta, la somma di valore che è stata spesa in esso, ossia che restituisce più lavoro di quanto ne riceve sotto forma di salario. Dunque è produttiva solo la forza-lavoro (Arbeitsvermogen), la cui valorizzazione è maggiore del suo valore» (Teorie sul plusvalore, I, cap. IV). E Marx aggiunge qui un’osservazione di fondamentale importanza: «La esistenza pura e semplice (die mere existence) di una classe di capitalisti, e quindi del capitale, è basata (beruht) sulla produttività del lavoro». Con la produttività relativa del suo lavoro, l’operaio non solo riproduce il vecchio valore, ma ne crea uno nuovo; oggettiva cioè nel suo prodotto un tempo di lavoro maggiore di quello oggettivato nel prodotto che lo mantiene in vita come operaio. «Su questa specie di lavoro salariato produttivo si fonda il capitale, la sua esistenza (seine Existenz)».

Uno dei più grandi meriti scientifici di Smith è quello di avere definito il lavoro produttivo come «lavoro che si scambia direttamente col capitale»: è in questo scambio che le condizioni di produzione del lavoro e il valore in generale, denaro e merce, si trasformano in capitale, e il lavoro si trasforma in lavoro salariato «nel senso scientifico». Con ciò è anche assolutamente stabilito cos’è il lavoro improduttivo: «è lavoro che non si scambia contro capitale, ma si scambia direttamente contro reddito». Questa distinzione smithiana di lavoro produttivo e improduttivo, che pure è esatta, «vien fatta qui dal punto di vista del possessore di denaro, del capitalista, non dell’operaio». La determinatezza materiale del lavoro e quindi del suo prodotto, non entra in nessun modo come parte determinante in questa distinzione: la particolarità del lavoro e il particolare valore d’uso in cui si realizza, sono qui del tutto inessenziali. Per il capitalista infatti il valore d’uso della forza-lavoro non consiste nel suo valore d’uso effettivo, nell’utilità di questo particolare lavoro concreto; e tanto meno nel valore d’uso del prodotto di questo lavoro. Ciò che a lui interessa nella merce, e che essa possiede un valore di scambio maggiore di quello che egli ha pagato per essa. Ciò che gli interessa nel lavoro, e che nel suo valore d’uso egli recupera una quantità di tempo di lavoro maggiore di quella che ha pagato sotto forma di salario. Ma la forza-lavoro dell’operaio produttivo è una merce per lo stesso operaio: così quella del lavoratore improduttivo. La differenza è che l’operaio produttivo produce merce per il compratore della sua forza-lavoro, mentre il lavoratore improduttivo produce per esso un semplice valore d’uso. «L’elemento caratteristico del lavoratore improduttivo è di non produrre merci per il suo compratore, ma di riceverne da lui». In questo caso, il lavoro non si trasforma in capitale, perché non crea un profitto al capitalista; il lavoro è una semplice spesa (Ausgabe), uno degli articoli in cui viene consumato il reddito.



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