Bravo! by Giuseppe Patota

Bravo! by Giuseppe Patota

autore:Giuseppe, Patota [Patota, Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Linguistica, Universale Paperbacks il Mulino
ISBN: 9788815326782
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2016-09-14T22:00:00+00:00


Il Lessico Etimologico Italiano riprende questo dato; ma in realtà è possibile risalire parecchio più indietro nel tempo, estendendosi anche molto nello spazio. Nel sonetto che fa da proemio alla Priapea, un’oscena raccolta di versi pubblicata nel 1541 e intitolata a Priapo, dio pagano famoso per le spropositate misure del pene, il beneventano Niccolò Franco invoca le Muse così «Come i bravi poeti soglion fare». In uno dei bizzarri dialoghi raccolti nei suoi Marmi (1552), Anton Francesco Doni definisce Andrea Calmo, commediografo a lui contemporaneo, «un bravo intelletto». Una trentina d’anni più tardi un altro commediografo, il romano Cristoforo Castelletti, nelle Stravaganze d’amore (1585) fa dire a un personaggio che si caratterizza per l’uso del napoletano che lui è «lo chiù bravo museco ca sia da cca a Costantinopole», ‘il più bravo musicista che ci sia da qui a Costantinopoli’. Nella già citata Piazza universale di tutte le professioni del mondo, uscita, come si è già detto, nello stesso anno, il romagnolo Tommaso Garzoni parla di un «bravo e maraviglioso predicatore» e di un «bravo aritmetico». Infine, nel 1615, il marchigiano Traiano Boccalini, nei Ragguagli di Parnaso, riferisce di un francese che si era vantato di essere un «bravo maestro» nel fiorentinissimo gioco del calcio.

Quando Galileo Galilei lo accolse nel Saggiatore, l’aggettivo bravo era dunque già adoperato in tutta Italia nel senso di ‘capace’, ‘abile’, ‘esperto nella propria attività o arte’ da almeno un secolo, anno più anno meno; e da almeno un secolo, anno più anno meno, era usato, oltre che per qualificare apprezzabilmente persone che non facevano la guerra, anche per qualificare apprezzabilmente cose che non avevano a che fare con la guerra (con un significato rafforzativo avvicinabile a quello che, in contesti analoghi, nell’italiano attuale hanno due aggettivi come bello o buono) e perfino animali non feroci né selvaggi, che non si scontravano con gli uomini ma vivevano tranquillamente con loro[2].

L’impressione che nel corso del Seicento l’aggettivo bravo (l’aggettivo: non il nome col significato di ‘sgherro’) ricorra più spesso con il nuovo significato totalmente positivo che con quello composito delle origini è confermata da alcuni riscontri numerici. Il termine, presente in otto dei ventitré testi secenteschi in prosa archiviati nella Biblioteca Italiana Zanichelli (un CD-ROM che comprende circa mille testi letterari italiani composti fra il Duecento e il primo Novecento), vi ricorre quarantadue volte. In quattordici casi è riferito a persone e ha il significato più antico; in un caso è riferito ad animali e significa ‘feroce’; in cinque è riferito a cose e ha il nuovo valore rafforzativo di ‘buono’, ‘bello’; infine, in ventidue casi è riferito a persone col nuovo significato di ‘capace’, ‘abile’. Ventidue su quarantadue: la maggioranza assoluta.

Il campione offerto dalla Biblioteca Italiana Zanichelli non rappresenta certo tutto ciò che, nel Seicento, è stato scritto in prosa letteraria italiana. Ma la prova dell’intervallo di confidenza (una misurazione che consente di stabilire quanto un dato parziale rappresenti effettivamente il totale) permette di dire che in questa prosa l’aggettivo bravo senz’armi dev’essere stato più frequente dell’aggettivo bravo in armi[3].



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