Chika (versione italiana) by Mitch Albom

Chika (versione italiana) by Mitch Albom

autore:Mitch Albom
La lingua: ita
Format: epub
editore: Sperling & Kupfer


Tu

NELLA nostra cucina c’è una trave di sostegno che va dal pavimento al soffitto. A un certo punto decidemmo di farne il grafico di crescita della famiglia. Misuravamo l’altezza dei nipoti in occasione del loro compleanno, poi scrivevamo l’anno a matita.

Quando sei arrivata tu, Chika, abbiamo messo anche te in piedi vicino alla trave e abbiamo tracciato un segno in corrispondenza della cima della tua testa. Ti abbiamo lasciato scrivere CHIKA. E ogni pochi mesi volevi essere misurata di nuovo. I tuoi segni a matita sono ancora lì.

Un bambino è come una pallina di tempo che si dispiega. Ma il tuo tempo scorreva su due livelli, perché come tu crescevi, così cresceva il tuo Invasore, il che rendeva i mesi che passavano sia amici che nemici. Diventasti più alta. I capelli si fecero più folti. Ti caddero i denti da latte e collezionavi soldini portati dalla Fata dei Dentini. Imparasti la differenza tra maiuscole e minuscole. Il tuo inglese migliorò tantissimo. Se ti parlavo in creolo, alzavi gli occhi al cielo e dicevi: «Signor Mitch, siamo in America adesso».

Ma c’erano anche le visite regolari in ospedale, e gli esami del sangue, e continue risonanze magnetiche al cervello, così frequenti che una volta, mentre ti ricordavo che dentro la macchina dovevi stare immobile, tu sospirasti e dicesti: «Lo so, lo so», irrigidendoti tutta solo per dimostrarmelo.

Vivevamo in un orizzonte fatto di mesi, uno dopo l’altro, come se saltassimo da una liana all’altra nella giungla medica. Nonostante la diagnosi tragica del DIPG – nessuno sopravvive – c’era sempre la possibilità che qualcuno mettesse a punto un rimedio decisivo, un nuovo trattamento laser o un farmaco scoperto per caso. Un medico di Stanford stava avendo i primi successi con un farmaco chemioterapico chiamato Panobinostat. Si vociferava di una clinica all’avanguardia in Messico. Un gruppo di Londra stava eseguendo CED multipli, in modo molto simile a quello che faceva il dottor Souwedaine allo Sloan Kettering, però usando quattro cateteri alla volta.

Tutte le sere tu dicevi le tue preghiere e poi più tardi noi dicevamo le nostre, chiedendo silenziosamente che qualcuno in un laboratorio, magari dall’altra parte del mondo, guardasse attraverso un microscopio sussurrando: «Guarda, funziona». Ti aggrappi a fantasie del genere, Chika, quando ti serve un’arma per sconfiggere ciò che non può essere sconfitto. Il tuo tumore era stato operato in giugno, ridotto con le radiazioni in luglio e agosto, e non aveva risposto a nessun’altra cura da settembre al marzo successivo.

Era una notizia buona e cattiva al tempo stesso. Indipendentemente da quello che avevamo tentato, compreso il procedimento CED – che avevamo ripetuto pochi mesi dopo a New York –, il tumore manteneva le posizioni, un orso nella caverna, che non ringhiava ma neanche se ne andava. La cura che il dottor Souweidane ti aveva somministrato direttamente nel cervello – che risplendeva verde sullo schermo di un computer, dimostrando di essersi distribuita alla perfezione – non aveva avuto alcun effetto. Ricordavo la conversazione avuta con lui («Non sappiamo se è l’agente giusto») e



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