Come abitare la Terra by Bruno Latour

autore:Bruno Latour [Latour, Bruno]
La lingua: ita
Format: epub
editore: EINAUDI
pubblicato: 2024-10-11T12:00:00+00:00

Capitolo sesto

Inventare strumenti collettivi

TRUONG Il suo metodo consiste nel creare strumenti, in particolare all’interno di collettivi: lei lavora «in gruppo». Ciò si lega strettamente alla sua concezione della filosofia e della sociologia?

LATOUR Nel 2002, presso il Centro per l’arte e la tecnologia dei media di Karlsruhe, lo Zkm, abbiamo realizzato la mostra Iconoclash. Non «iconoclasmo», parola che indica l’atto della distruzione, ma «iconoclash», a significare l’atto di distruzione sospeso, incerto.

Si è trattato di una mostra di idee davvero particolare, realizzata per affrontare una questione che non riuscivo a risolvere direttamente. Vi hanno preso parte sette specialisti di diverse discipline: storia dell’arte, ebraismo, architettura e scienza, perché esiste anche un’iconoclastia scientifica nell’idea di pensare senza immagini. Avevamo costruito – ed è questo il bello di una mostra, qualcosa che non si può fare con un libro – uno spazio immenso, di una bellezza straordinaria. Uno spazio nel quale i visitatori giravano e si ponevano una domanda eminentemente filosofica: «Che cosa significa essere costruttivisti?» Sia il collettivo sia lo strumento erano nuovi: si andava da Malevič ai santuari cattolici distrutti dai protestanti e viceversa. In seguito sulla mostra sono state proposte varie tesi. Tutti questi collettivi rappresentano anche vere e proprie deviazioni, perché non sono in grado di risolvere ogni questione da solo.

TRUONG Lei afferma spesso di creare collettivi di persone piú esperte di lei.

LATOUR Sí. Persone che ne sanno piú di me.

TRUONG Ma lei comunque orienta i quesiti?

LATOUR Io pongo una domanda, perché è il mio mestiere di filosofo. Per esempio, avevo lavorato e scritto molto sul parlamento delle cose. Ma scrivere testi è facile. Nel porre la questione «Che cosa significa rappresentare i non umani in un’assemblea? Che cosa può accadere in un’assemblea dove gli esseri di cui si parla si rappresentano da soli?» il fatto piú sensazionale è stato creare con Frédérique Aït-Touati uno strumento di lavoro, un dispositivo, assieme agli studenti appena prima della conferenza di Parigi del 2015, e dirci che avremmo fatto sul serio. Cioè sul serio per finta, creando una situazione. Dopo di che, in un teatro di Nanterre, diverse centinaia di studenti si sono divertiti a creare quella situazione per verificare la correttezza di un problema filosofico che avevo posto. «Che cosa accade in un’assemblea dove sono presenti non soltanto gli Stati Uniti, la Francia, la Germania, il Brasile, ma anche una delegazione dell’Amazzonia – non il Brasile, l’Amazzonia – e una delegazione Oceano, una delegazione Artico, una delegazione Petrolio, ognuna delle quali parla per sé?» Come per la conferenza di Parigi, una segretaria di sessione diceva: «Stati Uniti, avete due minuti e mezzo; Oceano, avete due minuti e mezzo». Seguivano i particolari dei negoziati, durante i quali gli Stati Uniti, per esempio, ascoltavano il contributo dell’Oceano sulla questione dello sfruttamento del mare che avevano intrapreso. È stato entusiasmante! Naturalmente c’è una certa ingenuità in un’operazione del genere, che resta una finzione, un gioco di ruolo; ma permette di affrontare una questione filosofica fondamentale e di riportarla nel dibattito pubblico.

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