Condé Maryse - 2012 - La vita senza fard by Condé Maryse

autore:Condé Maryse [Condé Maryse]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Fiction, General
ISBN: 9788894814583
Google: 4hKgDwAAQBAJ
Amazon: B07TXD3HMG
editore: La Tartaruga
pubblicato: 2019-06-25T22:00:00+00:00

PARTE SECONDA

«Woman is the nigger of the world»

John Lennon

All’aeroporto di Accra, dove arrivai dopo aver trascorso una settimana da Eddy a Dakar, mi aspettava Helman. Aveva indosso una camicia hawaiana a grandi motivi floreali, cosa che mi stupì, perché a Conakry non portava mai quel genere di abiti da vacanza. Nascondeva gli occhi sotto enormi occhiali dalla montatura quadrata che si tolse per meglio esaminare il gruppetto che gli veniva incontro.

«Perché si è portata dietro tutti questi bambini?» balbettò.

«Sono miei!» risposi, mettendo in terra Leila che non camminava ancora.

Il suo viso si decompose.

Ci infilammo tutti nella sua minuscola automobile che subito si mosse in direzione del centro città. Dopo mezz’ora, in mezzo al frastuono dei clacson e al caos delle automobili, ci fermammo davanti a un modesto edificio residenziale, pretenziosamente battezzato «Residence Simon Bolivar» e riservato, così pareva, agli ospiti del governo. Al pianoterra, entrammo in un minuscolo appartamento, dotato di un cucinino ancora più minuscolo. A quanto era dato vedere, Helman aspettava solo me. Senza fare neppure lo sforzo di sedersi, mi strinse la mano, scuotendola vigorosamente in su e in giù: «Verrò a prenderla domattina alle nove per accompagnarla a Flagstaff House».

«Flagstaff House?»

«È la sede del governo», mi spiegò. «Per la sua candidatura.»

E se ne andò. Erano le undici e mezza del mattino. Non ci aveva invitato a pranzo, e nemmeno a bere qualcosa. Apparteneva forse alla razza degli odiatori di bambini? Che cosa avremmo fatto per il resto della giornata? In tutta la mia vita, pur costellata di momenti di solitudine, non mi ero mai sentita tanto sola. Presi in braccio Leila, spinsi davanti a me gli altri tre bambini, e uscimmo. Non avevo mai visto una città come Accra. Variopinta, affollata, rumorosa. Laggiù non c’erano né mendicanti, né storpi, né donne coperte di stracci in fila davanti alle fontane, né vecchi troneggianti sulle loro poltrone. Dagli altoparlanti piazzati lungo i marciapiedi gracchiava una frenetica musichetta chiamata, così mi dissero, «highlife». In numerosissimi caffè, da cui fuoriuscivano, anche in quel caso, suoni ad altissimo volume, abbaiava la televisione, senza che nessuno vi badasse. Uomini avvolti in costumi simili a toghe romane, donne acconciate con voluminosi fazzoletti sulla testa, chiacchieravano e sghignazzavano ingurgitando grandi quantità di birra. Era domenica. La folla che usciva dai templi andava a intasare le strade già ingombre di ogni sorta di veicoli, e dei carretti dei venditori ambulanti, che berciavano e proponevano biglietti della lotteria, giocattoli, giornali, libriccini nella lingua del paese, improbabili oggetti tra i più vari. Sbucai in un immenso piazzale, formicolante di gente che andava a passeggio. Costeggiava una spiaggia di ciottoli scuri dove si frangeva un mare pesante e grigio che mi ricordava il mare a Grand Bassam. Sulla spiaggia, i bambini correvano nudi, il sesso all’aria, i giovani si abbracciavano e amoreggiavano senza pudore, un po’ più in là, delle coppie più anziane si stuzzicavano, baciandosi apertamente. Dopo il pudore musulmano di Conakry, Accra mi fece l’effetto di una Sodoma o di una Gomorra. Non sono mai riuscita

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