Donne nei loro letti by Gina Berriault

autore:Gina Berriault [Berriault, Gina]
La lingua: eng
Format: epub
editore: Mattioli 1885
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00

Intorno alla cara moribonda

Mia sorella sposò Leo Brady perché faceva il marinaio sulle navi mercantili e guadagnava bene e perché stava quasi sempre via. Lei e il suo bimbo di cinque anni vivevano delle sue acqueforti di tram che i turisti di San Francisco compravano nelle piccole gallerie d’arte e nelle librerie, e della vendita sporadica dei suoi quadri a olio. Si sposarono pochi giorni dopo che Leo era tornato dal mare, e una settimana più tardi la sua nave ripartì per l’Oriente. Nelle sei settimane in cui rimase via, la compagnia di piroscafi, su richiesta del marito, le inviò tutto il suo stipendio. Ma il giorno in cui tornò, Leo rimase deluso.

Clara aveva il suo monolocale in un vecchio edificio di Columbus Street. Il pianterreno era occupato dal Garibaldi Club, i cui membri si riunivano ogni sera per giocare a carte; sopra di lei, all’ultimo, vivevano due uomini, un impiegato di banca e un vetrinista. Ma lei riconobbe il passo di Leo sul primo scalino e alzando la testa dal cuscino disse: “Perché la sua nave non si è spezzata in due? Cavolo, tutte le altre l’hanno fatto.”

Io mi ero inginocchiato per aiutare Mark, suo figlio, a svestirsi per andare a letto. Mi bloccai con le mani intorno alla vita del bimbo che continuava a chiacchierare e alzai la testa per sentirla meglio. “Ti serve qualcosa?” Aveva avuto la febbre tutto il giorno.

“Ascolta, ascolta!” mi disse.

Così ascoltai e sentii i passi.

Sollevando il bambino senza sforzo, lo misi a sedere sul letto. Quel giorno gli avevo tagliato i capelli a spazzola perché voleva imitare me, lo zio Eddie, e la testa rasata gli accendeva i minuscoli occhi che erano coriandoli blu simili ai miei, a quelli di Clara, e davano un’aria impertinente alla T-shirt a strisce rosse che quel giorno avevo indossato sotto il maglione e che gli avevo infilato perché la usasse come pigiama; ma non era il momento di farle ammirare il bambino. Avvolgendolo in un paio di coperte dell’esercito e un serape messicano, uscii da dietro il paravento proprio mentre Leo posava la valigia fuori dalla porta.

“Digli che ho mangiato dello stinco di maiale avvelenato!” gemette lei in un sussurro disperato. “Si chiama botulismo. Digli che sono morta, Eddie” lo implorò. “Io mi tiro il lenzuolo sopra la testa e lui se ne andrà.”

Leo bussò timidamente e aprì la porta. Quando entrò, la sua stazza e la valigia gli conferirono un’aura di possesso che non voleva avere. La sua mano si sollevò per togliere il vecchio fedora nero scoprendo con un sorriso radioso e deferente la giovane testa calva.

“Clara è malata” gli dissi dopo che ci fummo dati la mano.

Gli occhi castani di Leo si dilatarono sensibilmente e le sue mani ricaddero di colpo inerti, incapaci di offrire, con l’abilità che riteneva necessaria, la compassione che sentivano. Con il disprezzo che mia sorella mi aveva inculcato pensai: perché pretende di far parte della coppia? Se l’amasse davvero si sacrificherebbe e le manderebbe lo stipendio senza mai presentarsi di persona.

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