Dove non si parla d’amore by Nina Berberova

autore:Nina Berberova [Berberova, Nina]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2019-05-07T16:00:00+00:00

Abbiamo avuto l’onore di vedere sua moglie per la prima (e ultima) volta un mese dopo la sua morte. E morto all’improvviso, non so se a Liverpool o a Manchester, dove aveva cercato di concludere un affare comprando una nave mercantile per poi riassicurarla. Le cose erano andate male, lui aveva perso tutto e per togliersi dai guai non aveva trovato altro sistema che il più disperato. Lei era arrivata a Parigi un mese dopo.

Abbiamo raccolto tra tutti un centinaio di franchi e siamo andati a trovarla. Avevamo saputo, io e Festman, che stava in un albergo modesto, sulla riva sinistra della Senna. Gli Apollonov con i tre figli ci avrebbero aspettati al tavolino di un caffè, in caso ci fosse stato bisogno d’aiuto.

Avevamo intenzione di dirle così: come amici ed estimatori di Osip Ivanovič, avendo saputo della sciagura che l’ha colpita, abbiamo raccolto questa modesta somma in segno del nostro rispetto, poiché immaginiamo che lei ne abbia bisogno. Siamo pronti a fare tutto quello che è nelle nostre possibilità per trovarle un lavoro o anche, se necessario, per procurarle un cappotto.

Nel salotto dell’albergo, sul camino, c’erano i gusci vuoti di lumache ormai da tempo cucinate e mangiate; pizzi ricamati come reti sottili da una deliziosa manina di donna pendevano dalle finestre e coprivano le poltrone. Nella penombra si è aperta una porta ed è entrata una donna alta, piena, con i capelli scuri e un vestito di velluto nero guarnito di merletti, che ci ha salutato con una stretta della sua mano piccola ed energica.

«Mi fa molto piacere vedervi. Allora si vede che Osip Ivanovič voleva davvero molto bene ai suoi amici di Parigi» disse, e la sua voce, invece di farci sentire più vicini a lei, ce l’ha fatta sembrare più lontana, mentre l’aria si velava del suo profumo. «Siamo a Parigi di passaggio. Alëša!» ha chiamato. «Alëša e io viviamo a Roma, Alëša studia arte». In quel momento è entrato un giovanotto con un viso simpatico e dei bei denti bianchi e intatti.

«Anche gli Apollonov sarebbero felici di esserle presentati» ho cominciato io.

«Con grande piacere, un’altra volta. Non ci fermeremo a Parigi per molto tempo. Ad Alëša piace andare a cavallo, e a Roma può esercitarsi tutti i giorni. Parigi non gli piace. Ma la cosa più importante per lui è la pittura. Osip Ivanovič non amava e non capiva la pittura, gli piacevano solo le riproduzioni, e in musica i fiati. In Europa non tutti hanno saputo apprezzare l’integrità della sua natura».

Silenzio.

Lei ha sorriso.

«Veniva sempre da voi a Pasqua, non è vero? Vi voleva molto bene. Ma adesso scusateci, Alëša e io dobbiamo uscire. Vero, Alëša?».

Alëša si è inchinato battendo leggermente i tacchi. Mi è sembrato che in lui ci fosse qualcosa di militaresco.

«Oh, sì, madame,» ha detto subito Jaša Festman «anche noi dobbiamo andare».

Lei ha sorriso di nuovo, questa volta con condiscendenza:

«Mi chiamo Anna Arkad’evna2» ha detto e si è alzata rimettendo a posto un ricciolo scuro che le era sfuggito dall’acconciatura.

Siamo usciti inciampando nelle poltrone.

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