Elisabetta d’Austria by Constantin Christomanos

autore:Constantin Christomanos [Christomanos, Constantin]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2019-12-04T16:00:00+00:00

Le pecore pascolavano spostandosi lentamente sotto gli ulivi. Un pastorello se ne stava accoccolato su un muricciolo, a gambe nude, e mangiava un tozzo di pane con le olive nere che aveva raccolto poco prima. Quando gli siamo passati davanti, ha salutato senza alzarsi: «Buongiorno, Regina!», e con i denti candidi ha staccato un grosso boccone dal suo pane di granturco giallo-rossastro. L’Imperatrice ha risposto con un sorriso: «Kalēmera sou» (Buongiorno a te), imitando la cadenza melodiosa della parlata di Corfù.

Avevamo già ripreso il cammino quando si sono levate dietro di noi le note acute di un piffero. Mi sono voltato e ho visto il pastorello che soffiava nel suo piccolo strumento di canna, diteggiando coscienziosamente; ed erano suoni striduli, esili, che salivano alti e vagavano tristi tra le piante finché ripiegavano stanchi su se stessi; poi di nuovo si spingevano incerti, come flebili sospiri, tra gli ulivi più lontani, verso le chiare radure prospicienti il mare. Nella penombra era cessato il ronzio delle api affaccendate tra i fiori; tacevano anche gli uccelli che spesso riempivano l’aria del loro frastuono; soltanto i sospiri del flauto penetravano dappertutto, ed era come se i veli dei sogni e dell’oblio ne venissero lacerati.

«Quanta tristezza e nostalgia in queste note!» ha detto l’Imperatrice. «Gli antichi vi hanno trasfuso tutto ciò che sgorgava dai loro cuori; e così, adesso, ci sembra che questi pochi suoni racchiudano tutto il dolore e tutte le beatitudini dell’umanità più remota e di quella di oggi».

E ha aggiunto, quasi dando voce ai miei pensieri: «L’arte non produrrà mai un capolavoro più grande della melodia del pastore; l’arte è soltanto il riflesso della vita interiore, ma queste note di flauto sono la vita stessa».

Quando le donne non cantavano, il bosco era invaso dal concerto dei merli e delle cince.

«Come sono libere e inconsapevoli tutte queste cose, gli uccelli, le donne e gli alberi!» ho detto all’Imperatrice. «Non c’è alcuna differenza se a cantare sono le donne o gli uccelli. Le une e gli altri lo fanno senza saperne il motivo, perché così deve essere, obbedendo a un profondo impulso vitale. Così anche il croco e l’anemone sbocciano dal sangue di Adone... Ci portano un messaggio prezioso, e annunciano entrambi la stessa cosa. Io credo sempre di più alle fiabe in cui gli uccelli si esprimono con tanta saggezza e predicono il destino agli uomini».

L’Imperatrice ha risposto con un lieve sorriso:

«Hei! Siegfried erschlug

nun den schlimmen Zwerg! ...

Lustig im Leid

sing ich von Liebe;

wonnig aus Weh’

web’ ich mein Lied:

nur Sehnende kennen den Sinn!».9

«Voi credete, Maestà,» ho detto all’Imperatrice «che nell’uomo il canto sia innato come negli alberi e nelle onde?».

«Dopo aver sentito cantare la Patti, la Nilsson e la Lucca avevo l’impressione che gli uomini avessero perduto ciò che tutte le cose del mondo possiedono ancora. Abbiamo disimparato a cantare, così come si può anche disimparare a ridere».

«Ne sono convinto anch’io, Maestà. Tutte le cose hanno il canto in sé come elemento naturale. Più ancora: il canto è l’essenza stessa della loro natura. Ma c’è anche un canto interiore, Maestà, un canto che sfugge all’orecchio.

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