Eric Van Lustbader by Eric Van Lustbader

Eric Van Lustbader by Eric Van Lustbader

autore:Eric Van Lustbader [Lustbader, Eric Van]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2011-07-25T22:00:00+00:00


Seiichi Sato possedeva grande hara.

Seduto al piccolo tavolo laccato, davanti a Nicholas, aveva già portato via la punta di uno dei piccoli piatti e con estrema destrezza usava i bastoncini per servire l'ospite onorato.

Hara, strettamente parlando, era la parola giapponese per stomaco, ma designava anche simbolicamente un uomo in buon rapporto con tutti gli aspetti della vita.

Una delle prime lezioni di tutte le arti marziali insegnava allo studente a trovare quel profondo pozzo di riserve di energia interiore che ha sede appena sotto l'ombelico. I cinesi lo chiamano tan tien, i giapponesi tanden.

Da lì avevano origine sia il potere fisico che quello spirituale. Un uomo con grande hara era ben centrato in se stesso, saldamente attaccato agli elementi della natura. I giapponesi spesso osservavano che gli Occidentali "rimbalzavano" nel camminare, segno che erano centrati esclusivamente nelle loro menti e perciò non sintonizzati con il mondo circostante. I giapponesi, d'altro canto, camminavano con passo più pesante, l'andatura fluiva liscia dalle anche e dalle pelvi, segno certo che possedevano hara.

Nicholas era incuriosito dal forte hara di Sato; si trattava di un grande complimento per qualsiasi giapponese. Aveva volato sulla pista della "notte senza fine", come la chiamavano i giapponesi, seguendo l'oscurità per ventiquattro ore: lasciata Washington di sera, era giunto a Narita sempre di sera, il giorno dopo.

Il signor Sabayama, uno dei molti tirapiedi di Sato, lo aspettava da ore all'aeroporto. Emise un mormorio alle scuse porte da Nicholas e, presi i bagagli dei due uomini, li condusse attraverso il terminal fino all'auto che li attendeva. Nicholas chiese al signor Sabayama se poteva prendersi cura di Craig Allonge all'Okura, e questi gli assicurò che all'hotel c'era già qualcuno pronto a soddisfare tutti i loro bisogni; egli avrebbe accompagnato Nicholas alla casa di Sato, che si trovava ai bordi di Tokyo.

Fuori dall'hotel Nicholas si rivolse a Allonge. «Potrei stare via parecchi giorni, Craig. Magari una settimana. Voglio che tu rimanga in contatto con New York e continui a far filare liscia ogni cosa. C'è già stato abbastanza trambusto.»

Ora Nicholas poteva sentire i rametti del bosco sfregare contro il fianco della casa di legno e piastrelle. L'aria era limpida e pulita. Nelle strade bagnate di pioggia, i pedoni camminavano curvi nel vento, solo in parte protetti dai loro ama-gasa. Aveva intravisto l'alto arco della Nihon-bashi mentre attraversavano il fiume che confluiva nel più vasto Sumida. Ombrelli sul ponte gli fecero venire in mente le stampe di Hiroshige, le immagini del grande artista che gli parlavano da un'altra epoca.

La chiamata alla casa di Sato non aveva costituito una sorpresa per Nicholas, considerato il tono drammatico del telex ricevuto dall'uomo. Tre assassinii inspiegabili erano motivo più che sufficiente per quell'appuntamento notturno. I giapponesi erano gente pratica, e in periodi d'emergenza si potevano anche lasciare da parte le buone maniere in nome dell'efficienza.

Ma per Nicholas la chiamata significava altro, che Sato non poteva sapere e nemmeno capire. Essere in casa dell'industriale voleva dire per Nicholas rivedere Akiko, e con un po' di fortuna poter rivolgerle la parola.

Ricordava



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