Eugenetica senza tabú. Usi e abusi di un concetto by Francesco Cassata

autore:Francesco Cassata [Cassata, Francesco]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Politica/Società/Economia
ISBN: 9788858419915
editore: Einaudi
pubblicato: 2014-12-31T23:00:00+00:00

Al pari del suo rapporto con la consulenza (piú o meno direttivo) e con la disabilità (piú o meno compassionevole), anche nei confronti del concetto di «razza» l’approccio di Reed era complesso e non privo di incoerenze. La maggior parte delle richieste di consulenza che giungevano al Dight Institute non riguardava infatti la determinazione della presenza di un disordine genetico all’interno di una famiglia, ma proveniva da istituti di assistenza interessati a conoscere la possibilità di far adottare in famiglie bianche bambini di «ascendenza razziale mista». A Reed si chiedeva in sostanza di valutare quale probabilità avrebbero avuto i bambini di «passare per bianchi»: quale sarebbe stato il colore definitivo della loro pelle da adulti e quale sarebbe stata la fisionomia generale della loro prole? Al centro delle preoccupazioni dei genitori putativi, negli Stati Uniti degli anni Cinquanta, era evidentemente ancora il mito del ritorno dell’«ascendenza negroide» nelle generazioni successive.

Presso il Dight Institute, i bambini di «ascendenza razziale mista» erano sottoposti a un’accurata analisi antropologica, basata su una serie di criteri diagnostico-razziali: macchia sacrale (una regione bluastra alla base della spina dorsale, presente «nel 95% dei bambini negri e nell’1% dei neonati francesi ed italiani»), macchie pigmentose digitali, colore della pelle, larghezza del naso, spessore delle labbra, piega dell’occhio, forma e tessitura dei capelli. Se i tratti «negroidi» non risultavano prevalenti, l’istituto ne consigliava fortemente l’adozione. Ben distante dal marcato razzismo dell’eugenetica ortodossa, che stigmatizzava l’incrocio razziale come inevitabile fonte di degenerazione biologica e sociale, Sheldon Reed non rinunciava per contro ad adottare i criteri di una rigida differenziazione razziale e a soddisfare le aspettative di omogeneità fenotipica familiare provenienti dalla middle-class statunitense a lui contemporanea. Nel momento in cui supportava l’adozione di quei bambini che potevano «passare per bianchi», il Dight Institute contribuiva a riaffermare una rigida barriera razziale.

Alla luce di queste ambiguità, sarebbe indubbiamente difficile tracciare oggi una linea netta di continuità storica tra Reed e il moderno approccio alla consulenza genetica. A tentare questa operazione fu per primo lo stesso Reed. In una ricostruzione autobiografica del 1974 dichiarò infatti di aver coniato il termine genetic counseling per identificare «un tipo di servizio sociale genetico senza connotazioni eugenetiche»34. Mentre l’eugenetica – spiegava Reed – intendeva promuovere il benessere della società nel suo insieme, la consulenza genetica mirava a soddisfare gli interessi e le necessità delle singole famiglie. Nel 1950, tuttavia, presentando una richiesta di finanziamento alla Fondazione Rockefeller, Reed aveva fornito un’interpretazione ben diversa. Aveva infatti affermato:

La consulenza in genetica umana è la modalità moderna di attuare un programma di eugenetica […]. Il termine «eugenetica» è caduto in disuso e «consulenza in genetica medica» sta prendendo il suo posto35.

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