Gervaso Roberto - 1991 - La bella Rosina: amore e ragion di Stato in casa Savoia by Gervaso Roberto

autore:Gervaso Roberto [Gervaso Roberto]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, Historical
ISBN: 9788845218033
Google: 8jg9AAAAMAAJ
editore: Bompiani
pubblicato: 1991-01-14T22:00:00+00:00

CAPITOLO XII

LA MANDRIA

La seconda guerra d'indipendenza fu per il Piemonte un successo e uno smacco. Un successo perché i suoi eserciti, con quelli francesi di Napoleone III, ebbero la meglio sulle milizie austriache; uno smacco perché, improvvisamente e unilateralmente, l'alleato d'oltralpe decise di por fine alle ostilità, patteggiando col nemico.

La pace di Villafranca fu l'esito diplomatico di questo ripensamento, o piuttosto di questo ripiegamento, dovuto a calcoli nazionalistici che lasciarono in sospeso il conflitto quando le sue sorti già sembravano segnate.

Cavour la prese come un affronto, come un'ignominiosa capitolazione, che rifiutò di sottoscrivere. Vittorio, più pragmatico e realista, fece buon viso a cattivo gioco e, in attesa di tempi migliori, firmò quella pace coatta, quella vittoria mutilata.

Mai come allora Rosa, sebbene lontana, fu vicina al suo uomo con amorosi messaggi.

Il 17 agosto, reduce dai campi di battaglia, Vittorio andò a stabilirsi alla Venaria. Ma non nell'antico e decantato castello dei duchi di Savoia, bensì nel palazzo detto della Mandria, da lui stesso fatto restaurare per Rosina. In quaranta minuti poteva raggiungere Torino per partecipare ai consigli dei ministri, dare udienze, sbrigare le faccende di stato.

L'edificio risaliva al 1713, ma tredici anni dopo, nel 1726, era stato rimaneggiato e ampliato su progetto dell'architetto messinese Filippo Iuvara. Al blocco originario s'erano aggiunti due padiglioni laterali “severamente ispirati a motivi casermeschi”.

Il re aveva voluto un portico neogotico ad archi acuti e quattro superbi fabbricati con enormi cortili-galoppatoi. Spendendo un occhio della testa (circa un milione di allora), aveva poi fatto recintare con un muro di trenta chilometri la tenuta. Nel piano sottotetto del castello c'era il nido d'amore suo e di Rosina; all'esterno balconcini neorococò in ferro battuto, inseriti fra grosse pigne di cemento.

Non era una reggia, ma un vasto, confortevole appartamento: undici stanze disposte lungo la facciata, un minimuseo zeppo di trofei venatori, una lunga galleria che dava sul cortile interno, impreziosito da una magnifica fontana di Nettuno.

L'architettura delle stanze, le cui pareti sfoggiavano tappezzerie in carta di dubbio gusto, aveva “un tono greve e fastoso”. “Intagli e vistose dorature di ispirazione neorinascimentale appesantivano le porte e i soffitti, già bassi, scompartiti a cassettoni con rosoni dorati nei riquadri o fiori dipinti a mazzi, ghirlande, corone, avvolti in veli di tulle ricamato; fanciulli ed amorini danzavano sorridenti opera di pittori non eccelsi.”

Cuore dell'appartamento era la sala del biliardo, dopo la caccia lo svago preferito di Vittorio e di Rosa. Accanto, la sala da pranzo, zeppa di quadri, di emblemi, di sculture lignee riproducenti stambecchi, camosci, aquile, fagiani, cani, pavoni, corni, fucili, carnieri. Plastica testimonianza di una passione quasi maniacale.

Le stanze s'avvicendavano sullo stesso piano: l'ultima, con mobili laccati in bianco, era la camera da letto della Vercellana. Dal lato opposto, quella di Maria Adelaide e nel mezzo, quella di Vittorio che, almeno lì, alla Mandria voleva essere imparziale (quando, però, Rosina vi si trasferì in pianta stabile, l'asburgica Susi era già morta da quattro anni).

L'esterno si presentava come un tripudio bucolico, un inno alla natura, un trionfo di flora e di fauna:

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