Giochi Criminali by AA.VV

Giochi Criminali by AA.VV

autore:AA.VV. [Giovanni, Maurizio de & Silva, Diego de & Cataldo, Giancarlo de & Lucarelli, Carlo]
La lingua: ita
Format: epub, azw3, mobi
Tags: Thrillers, General, Fiction
ISBN: 9788858413098
Google: JoP3AgAAQBAJ
Amazon: B00IRNJR38
editore: EINAUDI
pubblicato: 2014-03-10T23:00:00+00:00


Epilogo

Parole parole

An essay by Vincenzo Malinconico

Chissà cosa pensò la mia bisnonna, dalla sedia rotelle sotto la quale avevo stabilito da bambino una mia personalissima residenza-nascondiglio in stile «Rifugio anti-zio» di Qui, Quo, Qua (ve la ricordate la capanna sull’albero dove i tre fratelli si arrampicavano per sfuggire al battipanni di Paperino?), quando in Tv (allora in bianco e nero) irruppe Parole parole (1972, di Del Re - Ferrio - Chiosso), sensuale ed equivoca sigla finale del varietà Teatro 10, magistralmente cantata da Mina in duetto con Alberto Lupo (voce recitante).

Eravamo nel ’72, e la (bis)nonna (che poi si chiamava Giulia), benché paralitica e in pieno viale del tramonto, non era ancora cosí malridotta da non cogliere – e soprattutto condividere, all’avanguardia com’era in materia di faccende amorose – il contenuto anticonformista di quel pezzo.

Se all’epoca fossi stato in grado di capire di cosa accidenti parlasse Parole parole – per inciso: che belli i tempi in cui non si capivano le cose – di sicuro l’avrei cercata con gli occhi per registrare la sua reazione, e so che avrebbe controfirmato quel testo anche con la sinistra.

La bisnonna Giulia (detta Abelarda) infatti era – da quel che mi hanno raccontato: tardissimo, perché poi le storie di famiglia vieni sempre a saperle in forma d’inciucio, quando il protagonista non può piú difendersi – un tipo tutt’altro che romantico. Per lei, condizione imprescindibile perché l’amore durasse era un’appagante e continuativa attività sessuale (aveva anche un proverbio, da lei coniato, per esporre il suo punto di vista sull’argomento, ma siccome era piuttosto sboccato, in rispetto della sua memoria mi asterrò dallo sbandierarlo pubblicamente). Pare che di rose, poesie, serenate e corteggiamenti prolungati non volesse proprio saperne. Tendeva a venire al punto, insomma (con suo marito, intendiamoci: non è che andasse in giro a divertirsi; ma se pure l’avesse fatto mi sarebbe stata due volte simpatica), ed era su quel terreno che testava la misura (in senso metaforico) dell’amore: e datele torto. All’epoca, poi. Ma quando mai una donna (come pure un uomo) andava a prendere l’argomento nella dovuta considerazione? Chi mai, in quel secolo, si sarebbe permesso di porre amore e sesso su piani concorrenti, considerando il secondo una precondizione del primo (altro che il «Non c’è sesso senza amore» di vendittiana memoria)? La realizzazione del desiderio sessuale nella pratica quotidiana di una relazione intima soddisfacente era un tema oscurato, disdicevole. Disonorevole. Un argomento da zoccole. E da puttanieri, per converso (che in quanto frequentatori di puttane, o almeno di commari, esentavano le mogli da quel genere di appetito). Ogni approccio problematico era taciuto in partenza. La faccenda si risolveva in termini elementari: i maschi andavano a puttane, le mogli si fottevano. Fine della storia.

Pensate allora, in un simile quadretto subculturale, che testa doveva avere la bisnonna Abelarda, che poneva la soddisfazione del desiderio sessuale al vertice della gerarchia dei sentimenti. Quale perfetto contrario della donna d’altri tempi incarnasse. Che reputazione, soprattutto, doveva farsi in giro esternando le sue convinzioni in materia (pare che un’altra sua caratteristica fosse il non mandarla a dire).



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