Gli alunni del sole (Scrittori contemporanei) (Italian Edition) by Giuseppe Marotta

autore:Giuseppe Marotta [Marotta, Giuseppe]
La lingua: ita
Format: epub
editore: BUR
pubblicato: 2013-07-23T22:00:00+00:00

XVIII

IDRE A LERNA, GUARDIE AL CORSO

Il carbonaio Tescione:

«Don Federico, è inutile: mi si raggrinza il cuore se penso che tanti fatti, dagli stravizi di Giove alle “guapperie” di Ercole, sono accaduti mentre noi, qui presenti, non eravamo nemmeno in calendario! E gli avvenimenti di quando, lontano sia, pure i nostri figli e nipoti saranno morti?».

L’ex-bidello:

«Vi capisco, don Alfredo. In fondo è un’ingiustizia... Perché ci hanno escluso e ci escluderanno? Forse non potevamo e non potremmo rendere? Superflui o necessari, secondo qualunque criterio, noi siamo oggi come altri furono e saranno in ogni epoca universale!».

Don Catello Debbiase:

«Perfettamente... Occorreva, occorre e occorrerà un ottimo ciabattino a Materdei? E figuriamoci, Eterno Padre, era bastante un cenno... io mi cucivo al deschetto per sempre; vi risuolavo il mondo, se è per questo!».

Il barbiere Pagliarulo, vagamente assorto:

«Avete ragione. Se uno ci riflette, lo invade la malinconia del prima e del poi... È come se fosse vedovo di tutte le donne antiche, fresco orfanello di Adamo... e intanto gli decedesse all’improvviso un caro parente che dovrà nascere nel 2723! Gesù. Gesù. A chi edificò, vedete, il corso Vittorio Emanuele, io per esempio gli avrei senza fallo consigliato di mettere una fontanella pubblica sotto il muraglione che stiamo adoperando come lettino: così non sarei obbligato a scendere e a camminare, per dissetarmi, fino al marciapiede opposto...».

Il vecchio Sòrice:

«Non muovetevi, don Antonio: passerà un acquaiolo».

Il neghittoso barbiere:

«Speriamo».

Il corso Vittorio Emanuele è singolarmente propizio alle conversazioni orizzontali degli sfaccendati: in ogni curva il parapetto s’arrotonda e forma, per i napoletani che vogliano allungarvisi continuando a guardarsi mentre discorrono, un impareggiabile triclinio.

Il fruttivendolo Cadamartori:

«Don Antonio, don Catello, non mi affliggete... L’esistenza è fumo di candela, però mi piace. Oggi ho mangiato certi piselli di Antignano che forse non li ebbe Matusalemme, né li avranno i miei discendenti, chi lo sa? Don Federico, se mi onorate al bis di stasera... ah che finezza, vi giuro, li ha seminati un dolciere, li ha piantati Caflisch!».

L’ex-bidello, rianimandosi:

«Grazie, non mancherò. Tornando, a Ercole, eravamo rimasti che sedusse le cinquanta figlie del re Tespio. Immaginatevi le conseguenze, i puntigli, le gelosie. “Tu mi trascuri... tu preferisci le mie quarantanove sorelle...”, eccetera: non gli davano pace, lo angustiavano talmente che incominciò ad annoiarsi, a indebolirsi, a deperire; si accorse infatti che per abbattere con una spallata una semplice quercia, o per uccidere con uno schiaffo tori e giganti, gli veniva l’affanno... e una sera decise: “Me la svigno, me ne vado alla corte di Euristeo”».

Don Rosario Nèpeta, il gobbo:

«Euristeo come? Quale?».

Don Federico Sòrice:

«Un re sovrano, potentissimo, che abitava miglia e miglia lontano. Viaggiando, Ercole, per tenersi in esercizio, organizzò e vinse parecchie guerre; sposò inoltre la principessa Megara, che gli diede cinque figli».

Vincenzino Aurispa:

«Salute!».

L’ex-bidello:

«Non c’erano altri svaghi: o battaglie, o donne. Ma che brutta fine ebbero, quelle cinque povere creature! Non appena Ercole arrivò a palazzo, Euristeo gli disse: “Non t’illudere, gioia mia: saloni e tappeti, letti di rose e tuniche di seta, babà e sfogliatelle quanti ne contempli, nella reggia, non sono per te! Giove ti ha nominato mio servitore.

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