Guida allo studio della storia greca (2015) by Lorenzo Braccesi

Guida allo studio della storia greca (2015) by Lorenzo Braccesi

autore:Lorenzo Braccesi [Braccesi, Lorenzo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2016-01-30T23:00:00+00:00


2.12. Roma «polis hellenìs»: le eredità fondanti

La più remota tappa – l’archeologia – della tradizione di Roma polis hellenìs, di Roma «città greca», affonda le radici nella leggenda dell’approdo del troiano Enea alla foce del Tevere con conseguente sua fondazione dell’Urbe. Non è questa una leggenda che nasce in ambito romano, e in età tardorepubblicana, ma una leggenda che germina in ambito ateniese e in pieno secolo V a.C., come attestano esplicitamente prima Damaste e quindi Ellanico che fanno giungere nel Lazio – in accoppiata fra loro, o in rapida successione sulla medesima rotta – Ulisse ed Enea. Ne è testimone Dionigi di Alicarnasso (1, 72, 2):

Riferisce [Ellanico di Lesbo] che Enea, trasferitosi con Ulisse [dopo Ulisse?] dalla terra dei Molossi in Italia, fu il fondatore della città e che l’avrebbe chiamata Roma dal nome di una delle donne troiane. Aggiunge che costei istigò le altre donne e appiccò assieme a loro il fuoco alle navi, perché stanca di peregrinare. Anche Damaste di Sigeo e altri concordano con lui.

I due storiografi operano in ambiente ateniese, e sono particolarmente sensibilizzati al tema della leggenda troiana per essere entrambi nati in area microasiatica: l’uno presso il promontorio del Sigeo nella Troade, l’altro nella quasi prospiciente isola di Lesbo. Il loro Enea, che è tout court il fondatore di Roma, giunge nel Lazio nell’età di Pericle; quindi non solo in un’età in cui l’Urbe non può certo presagire il suo ruolo futuro di città caput mundi, ma in un’epoca ancora tanto arcaica in cui essa neppure ha consolidato la sua piena egemonia sulle genti circumvicine.

Enea conosce dunque in Roma la meta ultima del suo peregrinare già nella tradizione ellenica. Orbene, qual è il significato e lo spessore politico di una tale notizia che implica la creazione di un indissolubile legame fra Troia e Roma già nella pubblicistica ateniese di piena età classica? Per rispondere alla domanda è bene ricordare quanto già abbiamo detto circa la diffusione, su vettore attico, della leggenda troiana sulle coste dell’Italia e della Sicilia. Il processo implica, da parte di Atene, una vera e propria «troianizzazione» dei popoli anellenici con i quali essa ha interesse a intessere un dialogo diplomatico, ovvero a instaurare un’intesa economica o, comunque, una convivenza privilegiata. Come gli Elimi, i Choni e i Veneti diventano «troiani», così lo diventano anche i Romani. Ma qual è l’interesse ateniese di includere anche questi ultimi in una rosa tanto selettiva fra i popoli della penisola? Quale l’interesse da parte loro di rinverdire e dilatare la memoria confusa di ben più antiche relazioni commerciali intercorse fra l’arcaica grecità coloniale e l’area etrusco/latina? È presto detto. I Romani, fra tutti i popoli della penisola, hanno i requisiti più idonei per essere annoverati fra quelli cui Atene può guardare con un interesse non episodico. Infatti, la loro città è prossima agli stanziamenti greci del golfo partenopeo, che, per breve stagione del secolo V a.C., divengono ateniesi o comunque atticizzanti, acuendo la loro funzione di intermediari fra due mondi, l’ellenico e l’etrusco/latino.



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