Guillem Balague by Maradona. Il ragazzo. Il ribelle. Il dio del calcio (2021)

autore:Maradona. Il ragazzo. Il ribelle. Il dio del calcio (2021)
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Carlos Salvador Bilardo

La dittatura argentina aveva lasciato una situazione economica disastrosa e una pesante eredità spirituale, simboleggiata dai quaranta giorni di guerra delle Falkland seguiti all’invasione argentina dell’aprile del 1982. Ma nel dicembre del 1983, dopo sette anni di dittatura civile e militare, Raúl Alfonsín diventò il primo presidente democraticamente eletto della Repubblica di Argentina. Cominciò a ricostruire il paese secondo i principi di una democrazia moderna e, nei successivi cinque anni e mezzo, guidò una nazione piena di ottimismo, soprattutto all’inizio del suo mandato. La democrazia appena sbocciata aveva diffuso la sensazione che i problemi economici e sociali potessero essere risolti grazie ad azioni pacifiche e determinate. Fu introdotto un programma per l’alfabetizzazione di massa, fu abolita la censura e si favorirono tentativi di riconciliazione tra il potere e i cittadini.

Tuttavia, Alfonsín si trovò in una situazione difficile: il debito del paese verso il FMI era aumentato di sette volte rispetto al livello raggiunto prima del colpo di stato del 1976, attestandosi a quarantadue miliardi di dollari. I desaparecidos erano una ferita aperta, ben lontana dalla guarigione. Durante la campagna elettorale, Alfonsín aveva promesso che i crimini della giunta non sarebbero rimasti impuniti, ma non fu in grado di mantenere l’impegno preso.

Ogni nuovo ramo della democrazia emergente non faceva che accentuare la visione dicotomica del futuro del paese. I politici e i leader sociali e culturali tracciavano linee immaginarie, che finivano per dividerli. I ferventi dibattiti sfociavano in una demagogia populista che spaccava la popolazione, come le Ande. Forse era la condizione naturale per un popolo che adora i dibattiti lunghi e inconcludenti. I migliori tanghi sono quelli di Carlos Gardel o di Julio Sosa? Sei tifoso del Boca o del River? Jorge Luís Borges è più meritevole di Julio Cortázar? Anche Maradona si prestava a una semplificazione altrettanto netta: o si era con lui o contro di lui. Non c’erano vie di mezzo.

Dopo il fallimento dei Mondiali di Spagna, il presidente dell’AFA, Julio Grondona, messo sotto pressione dal prestigioso settimanale «El Gráfico», perse fiducia in César Luis Menotti, che peraltro era molto provato. Alla fine del 1982 la federazione percepì il vento nuovo che soffiava tra le strade del paese e sfruttò la coincidenza delle imminenti elezioni nazionali per sostituire Menotti con Carlos Bilardo. Nella Nazionale si assisteva a una sorta di dualità, tipicamente argentina. Menotti aveva allenato l’Huracán di Buenos Aires introducendo un gioco spettacolare, che gli era valso l’incarico di coach della Nazionale. Per lui, il calcio aveva un “lato oscuro” rappresentato dagli allenatori influenzati dal catenaccio italiano, un approccio difensivo volto a minimizzare i rischi. «Uno dei pochi esponenti del lato oscuro con il quale non prenderei neppure un caffè è Bilardo» affermò Menotti. Tra i due, e tra i loro fedeli seguaci, la discussione ideologica sul calcio continua ancora oggi.

«Il più grande allenatore che abbia mai avuto è Menotti» dichiarò Maradona a Borinsky di «El Gráfico». «Dal punto di vista tattico, Bilardo è dieci volte più bravo di lui, ma era più difficile capire le sue idee sul campo.

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