I giorni della Rotonda by Silvia Ballestra

autore:Silvia Ballestra [Ballestra, Silvia]
La lingua: ita
Format: epub
pubblicato: 2013-04-04T22:00:00+00:00

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Giravano per la piazza i marinai ch’erano diventati tossici, poveri, pure loro: erano una trentina e avevano cominciato a bucarsi quando tornavano a terra; all’inizio per prendersi uno svago da quel lavoro spaventoso, nelle pause fra un imbarco e l’altro, spendendo i tanti soldi che s’erano sudati e non capendo subito in che razza di guaio andavano a ficcarsi, con quella polvere bianca.

L’eroina era una livella. Colpiva i più sprovveduti, i non garantiti, ma anche i figli dei ricchissimi imprenditori – i costruttori, quelli impegnati nel campo dell’energia, i grandi commercianti, i gloriosi iniziatori del turismo balneare, le famiglie di maggiorenti che avevano governato la città sin dal 1800 e ora vedevano i propri ragazzi sbandarsi e crollare. Anche i fascistelli, i fighetti che disponevano di soldi facili, erano crollati: lo raccontava l’idraulico che veniva chiamato, un giorno sì e l’altro pure, a sturare gli scarichi di certi bar intasati dalle siringhe buttate giù nei water e nei lavandini, quello che ci trovava dentro.

Si potevano fare nomi a centinaia. Ragazzi bellissimi e sani, sportivi o lavoratori, che improvvisamente si riducevano, volontariamente, in catorci. Gli elenchi non finivano mai, e ogni nome apriva su figure e storie intricate e dolorose.

Ma quelli che c’erano in giro alla Rotonda adesso, e quelli che giorno dopo giorno venivano conquistati alla causa, erano già essi stessi una sorta di seconda generazione rispetto ad altri, ormai deceduti. Incarnavano una sorta di diabolico ricambio rispetto a una prima, già collaudata, fase.

I primogeniti della nidiata erano infatti stati degli hippies, dei figli dei fiori, dei provos. Reduci da viaggi in Olanda e Germania, dove avevano intrecciato amicizie e messo in piedi commerci (ma di allucinogeni), se n’erano tornati a San Benedetto in gruppo, occupando una parte della pinetina. Un angolo appartato, fra la casamatta che conteneva il sistema di pompaggio della fontana e la balaustra a fiaschetti, che era sì nascosto ma allo stesso tempo costituiva una garitta naturale per supervisionare la piazza. Lì dormivano, mangiavano, facevano i bisogni a poca distanza dai campi da tennis, e soprattutto sbevazzavano e spipettavano, una mezza dozzina di giovani contornati da cani e cagnetti che li vegliavano come arzilli e indefessi soldatini. Erano i freak del gruppo di Bettino, un cantautore che durante uno dei primi concerti di un giovanissimo De Gregori, proprio lì alla Samba, aveva dato in escandescenze spaccando la sua chitarra acustica sul palco.

Di questi si diceva di tutto. Faceva paura la loro vita randagia, chiassosa, esposta, senza tetto né legge nella maniera più assoluta. Così fiorivano le leggende, attorno a quella piccola comune en plein air: si diceva che la moglie di Bettino, agghindata con gonne paisley e decine di braccialetti alla Janis Joplin, compisse atti indicibili.

Si diceva pure che Bettino fosse impazzito per la frustrazione riguardo ai suoi pezzi non apprezzati da De Gregori stesso (il che lo rendeva sinistramente simile a quel Charlie Manson che aveva terrorizzato la California con la sua Famiglia e i delitti all’insegna dell’Helter Skelter, solo che lui si limitava a

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