I minatori della Maremma by Luciano Bianciardi Carlo Cassola

I minatori della Maremma by Luciano Bianciardi Carlo Cassola

autore:Luciano Bianciardi, Carlo Cassola [Luciano Bianciardi, Carlo Cassola]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Minimum Fax
pubblicato: 2019-06-12T22:00:00+00:00


10. Primo nome della Cgil, sciolta durante il fascismo e ricostituita in seguito con il nome attuale. [n.d.r.]

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La strage di Niccioleta

Le case di Niccioleta sono sparse su una collinetta posta di fianco alla strada che da Massa Marittima conduce a Castelnuovo Val di Cecina. Nel 1944 le carte topografiche non registravano il nome di questo villaggio sorto da pochi anni intorno alla miniera di pirite. Niccioleta allora era abitata da centocinquanta famiglie di minatori, oltre che dal personale direttivo della miniera.

Quest’ultimo conduceva vita a parte, com’è d’obbligo in ogni villaggio minerario della Montecatini. Il vicedirettore ingegner Boeklin, il segretario dottor Larato e l’addetto alle ricerche geofisiche ingegner Ferrari passavano per filotedeschi. I primi due in particolare erano in cordiali rapporti col comando tedesco di gendarmeria di stanza a Pian di Mucini, a quattro chilometri da Niccioleta. Quanto al direttore, l’ingegner Mori Ubaldini, era stato uno squadrista e un fervente fascista; ma dopo il 25 luglio aveva cambiato atteggiamento e dopo l’8 settembre si era messo in contatto col movimento partigiano della zona.

Nella massa operaia i fascisti costituivano invece un’esigua minoranza. I repubblichini erano in tutto sedici. Con questi sedici individui e con le loro famiglie la popolazione evitava di aver rapporti di sorta.

Consci del loro isolamento, i fascisti si tenevano strettamente collegati tra loro. Avevano l’abitudine di riunirsi ogni sera in casa del siciliano Pasquale Calabrò, o di suo cognato Aurelio Nucciotti, o della guardia giurata Luigi Torrini. Calabrò, Nucciotti, Torrini si assentavano poi spesso dal lavoro per recarsi dai fascisti di Massa o dai tedeschi di Pian di Mucini; Nucciotti prese anche parte a dei rastrellamenti antipartigiani nella zona, ma ebbe cura di non farlo sapere in paese. Tutti tenevano armi in casa, e in occasione del 1° maggio coadiuvarono i carabinieri del servizio d’ordine.

A parte la sortita del 1° maggio, i fascisti di Niccioleta svolgevano la loro attività in sordina. In apparenza, avrebbero potuto anche essere giudicati inoffensivi. Invece andavano maturando il proposito di «vendicarsi» dei compaesani. Vendicarsi di che? Il 25 luglio il paese aveva festeggiato la caduta del fascismo, ma loro non erano stati toccati. Niccioleta, lo abbiamo detto, era un villaggio sorto da pochi anni, si era popolato con gente piovuta un po’ da tutte le parti, anche da lontane regioni come la Sicilia e il Veneto; era quindi un paese tranquillo, senza tradizioni di odi tra famiglie e di vendette tra fazioni politiche. Vedremo che anche dal 9 al 12 giugno 1944, quando il paese fu in mano dei partigiani e del Cln, i fascisti non subirono molestie serie. E tuttavia Calabrò, Nucciotti, Torrini, Maggi e compagni odiavano i compaesani: li odiavano perché si sentivano circondati dalla diffidenza, dal silenzio e dal disprezzo.

Un giorno una donna ebbe l’ingenuità di chiedere a Calabrò cosa ne pensasse della situazione. «Io delle chiacchiere ne faccio poche», rispose Calabrò, «quando verrà il tempo, farò dei fatti». E la moglie dello stesso Calabrò, a dei ragazzi sorpresi a cantare un inno sovversivo: «Cantate, cantate», disse, «verrà un giorno che piangerete voi e le vostre famiglie».



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