I segreti del Conticidio by Marco Travaglio

I segreti del Conticidio by Marco Travaglio

autore:Marco Travaglio [Marco Travaglio]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Paper First
pubblicato: 2021-07-14T22:00:00+00:00


La variante saudita

25 gennaio.Continua, sui giornali, la sfilata dei giallorosa in piena sindrome di Stoccolma che anelano al giogo renziano. Il dimaiano Giancarlo Cancelleri sulla Stampa: “Tutti sacrificabili, anche Bonafede. Conte dice ‘mai più con Renzi’? Certe posizioni rigide, in certe situazioni, non aiutano nessuno”. Poi tocca ai renziani. Marattin: “Sì al dialogo, ma ci ascoltino. Spero che Conte non affronti questa fase con risentimento” (non se ne vedrebbe il motivo). E Scalfarotto: “Macché sabotatori, siamo pronti al dialogo se questo governo si scioglie”.

Enrico Mentana spiega a Libero che “la crisi non è colpa di Renzi”, che ha solo “esplicitato il dissenso, diversamente dagli altri”, su Conte e il suo “progetto di far gestire gli aiuti dell’Europa da un team di commissari di nomina presidenziale”, insomma “mangiava più di tutti” e aveva partorito un Recovery “senza visione”. Ancor più paradossale è l’analisi di Fubini sul Corriere: il capitolo 3 del Recovery Plan sulla governance, trasmesso al Parlamento, “resta vuoto”, ma “l’omissione non poteva passare inosservata né a Bruxelles, né al Quirinale”. Oh bella, ma è proprio su quel pretesto che Renzi ha scatenato la crisi. E tutti i giornaloni gli hanno tenuto bordone, demolendo l’Unità di missione. E Fubini continua a farlo ora: “Il fondatore di Italia Viva non è stato il solo a trovare fuori luogo il tentativo del premier di accentrare il controllo dei fondi”. Insomma Conte “continua a pensare di poter gestire il Recovery Fund in prima persona”. Una bufala bella e buona, visto che il progetto di governance coinvolge Palazzo Chigi, due ministeri (Mef e Mise), sei manager e circa trecento tecnici. La task force meno accentrata e più pluralista fra quelle messe in campo dai Paesi Ue, quelle sì accentratissime in mano ai premier o ai ministri dell’Economia.

La giornata di Conte, la numero 969 da quando entrò a Palazzo Chigi alla guida dei gialloverdi, è anche l’ultima nella pienezza dei suoi poteri. Sente al telefono Di Maio, Crimi, Zingaretti, Bettini e qualche collaboratore in contatto con gli aspiranti ma immobili responsabili. A due giorni dal voto sulla relazione Bonafede, c’è una sola certezza: non solo il guardasigilli, ma tutto il governo verrebbero bocciati al Senato. Così prende atto che il tempo per ribaltare i rapporti di forza è scaduto. Gli eventuali “costruttori” promettono di materializzarsi solo dopo le sue dimissioni. E lui decide di rassegnarle l’indomani al Quirinale. In molti, soprattutto nel Pd, provano a dissuaderlo da quel gesto estremo e improvviso: “Puoi resistere ancora: il governo non cadrà su Bonafede, all’ultimo momento alcuni centristi, renziani e forzisti usciranno dall’aula per tenerlo in piedi”. Ma Conte non vuole vivacchiare in equilibrio su una gamba sola, con la terza ondata alle porte, il Recovery da completare e 10 commissioni balcanizzate: “Saremmo troppo deboli, non reggeremmo, ci spegneremmo un giorno alla volta come una candela accesa. Meglio giocare d’anticipo”. Cioè evitare lo smacco che renderebbe problematico il reincarico, salire al Colle e tentare il tutto per tutto con un Conte-3. Anche se, con quel nido di serpi



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