icerbox Gessen Tsarnaev by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

Parte tre

Dopo

Nove

Come Musa Khadzhimuratov si disamorò dell’America

“Questa è una catastrofe”, mi disse la donna. “È una catastrofe per noi ceceni”.

Disse che l’aveva capito subito. Anzi, l’aveva sempre saputo. La donna aveva otto anni quand’era incominciata la prima guerra cecena – era cresciuta facendo da bersaglio. Perciò quando sua figlia, di otto anni, qui alla periferia di Boston, le chiese se era vero che gli attentatori erano ceceni, la donna rispose “No!” e spense il televisore. La parola CECENI era scritta lì sullo schermo, sotto alla foto del fratello più giovane. Spegnere il televisore non aiutò più di quanto evitare le cattive notizie abbia mai aiutato nessuno. La ragazzina ben presto lo sentì dire a scuola e al parco giochi e la sua migliore amica non poté più giocare con lei.

La donna non mi ha autorizzato a usare il suo nome, ma parlò con me mentre cucinava un pane tradizionale ceceno in grosse forme quadrate e una torta: la famiglia aspettava un visitatore dalla Cecenia. Vivevano a Boston da circa sette anni al momento dell’attentato, e la vita andava piuttosto bene. Erano arrivati come rifugiati – uno status relativamente privilegiato che autorizza i nuovi arrivati a cercare un lavoro e a usufruire dell’assistenza pubblica – perché il cognato e il suocero della donna erano stati fatti entrambi sparire dai russi. Suo marito lavorava nell’edilizia e lei stava a casa coi tre figli, due dei quali nati in questo paese. Abitavano in un quartiere piccolo-borghese, accanto a un’altra famiglia cecena. Socializzavano soprattutto con altri ceceni; era una casa tradizionale, la loro, dove la donna apparecchiava per gli uomini e restava fuori della stanza mentre mangiavano e parlavano. Conosceva le mogli, ma siccome Tamerlan non aveva mai portato la moglie in casa loro, non sapeva nulla degli Tsarnaev, se non che il fratello maggiore a volte giocava a calcio con suo marito e con altri uomini. Non aveva mai visto Dzhokhar prima che comparisse in televisione, il 19 aprile 2013.

Due giorni dopo vennero a prendere suo marito, come prevedeva. Fu la suocera della donna a chiamare Almut Rochowanski, l’avvocata di New York City fondatrice di un’organizzazione per i rifugiati ceceni: “L’FBI ha preso mio figlio”. Rochowanski fece in modo che un avvocato dell’American Civil Liberties Union del Massachusetts partecipasse agli interrogatori dell’FBI come rappresentante dell’uomo e l’FBI ben presto parve perdere interesse nei suoi confronti, ma per sua madre, mi disse Rochowanski, “Si stava ripetendo quello che era accaduto all’altro figlio e al marito in Cecenia”.

Poco dopo, Rochowanski e l’ACLU elaborarono un documento di una pagina in russo su come comportarsi quando l’FBI si presenta alla tua porta. La cosa più importante: “Non sei tenuto a lasciarli entrare”. Altra cosa molto importante: “Non sei obbligato a seguirli”. Ma, sospirò Rochowanski, “la maggior parte delle persone è troppo intimidita per non farli entrare”.

***

Rochowanski aveva studiato da avvocata nella natia Austria, poi aveva concluso gli studi alla Columbia e aveva finito per trascorrere molti anni andando e venendo per lavoro dal Caucaso settentrionale, che vanta una delle maggiori concentrazioni di uniformi per chilometro quadrato al mondo.

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