icerbox Kelly psichiatra by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

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«No!». Jesse gridò verso la tromba delle scale. Le pareti rivestite di piastrelle concentravano su di sé la luce: tutto ciò che potevamo vedere del corpo spezzato di Clay era il viso pallido, inespressivo, sospeso per alcuni secondi e poi affogato senza bolle. «Scendo nel seminterrato, vedo se posso raggiungerlo».

Cercai di trattenerlo per una mano ma la sua pelle era fredda e umida come la mia, e le mie dita scivolarono sul suo polso. «Jesse, è allagato. Morirai».

«È mio fratello», disse. Aveva perso colore sulle guance; i suoi occhi e le sue labbra erano diventati scuri come in un film muto.

La Greenlaw gli si parò davanti, mettendogli una mano sul petto. Lui indietreggiò al suo tocco ma l’unico modo per proseguire sarebbe stato buttarla giù dalle scale.

«Se n’è andato». Il suo tono clinico rendeva il tutto definitivo.

Jesse scivolò lungo la parete, lasciando una traccia verticale sulle mattonelle sporche. Aprii la mano per mostrargli le chiavi di Clay (l’enorme chiave del portone del Nazareth, una Yale e quella della Harley-Davidson su una catenella di cuoio e metallo) e gliele diedi. Lui se le rigirò tra le mani, fissando con occhi neri e vuoti i meccanismi dell’orologio, come se desiderasse che cadessero su di noi.

«Cosa facciamo?», domandai a Helen. Ero una bambina che chiedeva disperatamente aiuto a un’adulta.

Lei chiuse le dita a pugno e se le premette sulla fronte. «È evidente che la nostra preoccupazione immediata dev’essere quella di ritirarci in un luogo sicuro», disse.

«Che cosa?».

Non riusciva a nascondere la sua impazienza per la mia idiozia. «Dobbiamo scendere dalle scale».

Mi accovacciai al livello di Jesse. «Hai sentito? Adesso scenderemo, poi troveremo la maniera di sistemare tutto. D’accordo? Andiamo». Stavolta mi prese la mano. Era lui a tenere la borsa, io presi la grande torcia. Helen incedeva dritta come una ballerina. Per rimanere in equilibrio, appoggiavamo le mani sulla vecchia struttura. Era un miracolo che fossimo riusciti a scalare la torre: i gradini erano ripidi, più alti che larghi. Per scendere ci impiegammo due o tre volte il tempo usato per salire. Un piede in fallo e saremmo precipitati giù tutti. Contavo i passi per evitare di urlare. Dieci, undici, e passammo le mattonelle con dei fiorellini di sangue dove Clay aveva sbattuto la testa. Venti, ventuno, e passammo la sbarra su cui si era spezzato la colonna vertebrale. Trentadue, trentatré, ogni passo ci avvicinava sempre più al momento in cui lei ci avrebbe detto che dovevamo chiamare la polizia. Probabilmente aveva un telefono da automobile nella Jaguar. Trentanove, quaranta. Ripensai agli attimi precedenti alla caduta di Clay. Mi sembrava che, dopo la mischia iniziale, tutti avessimo reagito alla sua collera irrefrenabile. Ricordavo le mie mani sul suo bavero nel tentativo di strapparlo da Jesse. La Greenlaw, ogni volta che la rivedevo, si ritraeva oppure provava ad afferrare la borsa. Quarantasette, quarantotto, quarantanove, eravamo di nuovo nell’atrio.

Ci affrontavamo reciprocamente, tre lati di un quadrato. Le mie mani e quelle di Jesse erano incistate di sudiciume, le unghie e le nocche si profilavano di nero.

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