icerbox Pontiggia Esperidi by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

L’ultima domenica di Sartre

Che la narrativa francese del dopoguerra sia diventata sempre più povera di nomi interessanti credo sia, più che una opinione, una constatazione.

Una delle spiegazioni possibili è che l’ideologismo, cioè la metamorfosi dell’ideologia in sistema delirante, abbia finito per assoggettare la mobilità del romanziere, imponendogli gli itinerari narrativi.

Il romanzo è un viaggio nell’ignoto. E l’aspirazione di un narratore non è di raccontare quello che sa, ma di scoprire quello che non sapeva e che pure è riuscito a raccontare.

Certo ogni autore muove da una attesa orientata, ma il fascino del lavoro letterario è proprio di ampliare e di modificare l’orizzonte della poetica, non di confermarlo punto per punto come se fosse un teorema.

Il limite di troppe opere, tradizionali e non, non è tanto di scostarsi dal loro progetto, quanto, al contrario, di aderirvi. L’operazione è riuscita, ma l’opera no. E non basta che l’autore si difenda dicendo che era proprio quanto si riprometteva: forse era meglio non se lo ripromettesse.

Anche il romanzo di Jean-Pierre Enard L’ultima domenica di Sartre è, in un suo modo anomalo, un romanzo a tesi e, sempre in modo paradossale, un romanzo “ideologico”, benché il suo bersaglio sia proprio l’ideologismo del protagonista.

Uscito in Francia nel 1978, immagina, con un anticipo di due anni sulla morte effettiva di Sartre, la sua “ultima domenica”.

Sartre comincia la sua giornata scoprendo involontariamente, nell’appartamento del piano di sotto, un ragazzo che si sta eccitando alla lettura di un suo romanzo.

Imbarazzo, sconcerto.

E prima spia ideologica e simbolica: viaggio del libro nel tempo e trasmutazione del suo potere, da eversivo a erotico.

Poi Sartre esce in strada solo e senza meta: e questo è forse il tratto più romanzesco.

Che un intellettuale, assillato dagli impegni, esca solo e senza meta per le strade della propria città può essere un discreto esempio di allegoria visionaria, ma dubito della sua verosimiglianza.

In generale penso che “uscire soli e senza meta” in città si stia trasformando per quasi tutti in una esperienza onirica.

Certo non c’è da rallegrarsene. Sarebbe anzi uno dei modi supremi di vivere il presente, ma diventa, appunto per questo, sempre più raro, dominati come siamo da un’unica dimensione, quella aleatoria del futuro.

Sartre poi finisce, neanche a scommettere, in Saint-Germain-des-Prés, dove non viene naturalmente riconosciuto.

Il capitolo nono affronta un problema delicato: come soddisfare un bisogno fisiologico, sempre più impellente con il passare dell’età, in una metropoli.

Sarebbe una buona occasione per uno sviluppo avventuroso, ma Enard la sacrifica sull’altare della ideologia, per mostrarci solo la vittoria della fisiologia sulle astrazioni.

Non mancano ricordi di amori lontani e desideri erotici attuali, insomma un obolo non tanto a quella tecnica che Svevo chiamò del “cranio scoperchiato”, quanto, più modestamente, a quel gusto del “vissuto” che oggi accomuna – patetico connubio – psicologi e pazienti, sociologi e masse in una confessione corale.

Sartre muore nell’ultimo capitolo, quando il ragazzo, sorpreso di nuovo mentre si sta eccitando a un altro romanzo, lo minaccia per scherzo come se impugnasse una pistola. Metafora del parricidio ideologico.

Scritto con un accorto mestiere, una accattivante verve, una

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