icerbox Purdy rimettersi by Unknown

autore:Unknown
Format: epub

Il progetto AAS

Nessuno di noi farà mai qualcosa di eccellente o di straordinario se non ascolta il sussurro che solo lui può udire.

Ralph Waldo Emerson

C’è una cosa che ho sempre amato della mia relazione con Daniel: siamo entrambi dei creativi, ricchi di idee che ci scambiamo in continuazione. Durante i nostri primi due anni a San Diego, via via che il nostro legame si consolidava, cresceva anche il desiderio comune di trovare un modo per aiutare gli altri. Sentivo di nuovo quella vocina che mi sussurrava all’orecchio, avvertivo la consapevolezza che mi era stata data la possibilità di scegliere di tornare alla vita terrena per fare qualcosa di significativo. Non sapevo esattamente che cosa avrei realizzato, sapevo soltanto che, una volta trovata l’idea giusta, in qualche modo avrei trovato anche il modo giusto per metterla in pratica.

Una sera, verso la fine del 2004, Daniel e io ci addentrammo in una conversazione simile alle tante che avevamo già scambiato.

«Dopo l’intervento ho imparato a fare snowboard e skateboard da sola», dissi. «Ma gli altri portatori di protesi che vogliono cimentarsi negli action sport, che opportunità hanno?».

«Nessuna», disse Daniel, ricordandomi tutte le ricerche che avevo fatto. «Ma se fossimo noi a creare qualcosa? Se pensassimo a un modo per far sì che gli atleti svantaggiati possano almeno entrare in contatto tra loro?».

«Potremmo aprire una specie di forum online», dissi.

«O un sito Internet», suggerì lui.

«Oppure potremmo mettere in piedi una specie di associazione». Era chiaro che condividevamo la stessa idea.

Daniel aveva ragione: nonostante avessi setacciato Internet, le risorse che avevo trovato erano pari a zero. C’erano molte informazioni su come i disabili potevano accedere agli sport tradizionali, per esempio nuoto, ciclismo e atletica; la Challenged Athletes Foundation (CAF) copriva ogni esigenza per queste discipline. Ma non c’era nulla a disposizione per chi, come me, voleva praticare sport più dinamici, o semplicemente desiderava entrare in contatto con gli altri per confrontarsi su argomenti quali, tanto per citarne uno, la scelta delle protesi migliori per fare snowboard. Inserendo su Google parole come “snowboarder amputato”, “snowboarder disabile” e “snowboarder protesizzato” non ero mai riuscita a trovare una community. Così un giorno, mentre Daniel e io parlavamo del progetto che avevamo in mente, sua madre Nancy, da sempre dedita alla filantropia, ci disse: «Voi due dovreste fondare un’organizzazione non profit». Ci entusiasmammo all’idea a tal punto da iscriverci a un corso di formazione per capire cosa bisognava fare per creare un’impresa senza fini di lucro.

L’aula era gremita. «Desidero che ciascuno di voi esponga alla classe il proprio progetto», disse la nostra docente.

Uno per volta, gli studenti presentarono le loro idee. Qualcuno arrivò a dire cose del tipo «Voglio salvare il mondo».

«Bene, ma come?», chiese l’insegnante. «Non puoi essere così generico».

Quando arrivò il nostro turno, fui io a intervenire per prima. «Ho due protesi al posto delle gambe e sono appassionata di sport», dissi. «Mi piacerebbe insegnare snowboard e skateboard per aiutare i giovani con disabilità».

La nostra docente si illuminò. «Questa sì che è un’idea concreta, la più concreta che ho sentito stasera», disse.

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