Il perdono responsabile by Colombo Gherardo

Il perdono responsabile by Colombo Gherardo

autore:Colombo, Gherardo [Colombo, Gherardo]
La lingua: eng
Format: epub
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


Capitolo undicesimo

Sicurezza e pena, due argomenti

da non confondere

È ora necessario liberarsi di un equivoco nel quale è assai facile cadere. Chi fosse giunto a leggere le pagine precedenti fino a questo punto, quasi sicuramente si domanderebbe: «se il carcere non va bene, se non serve, come è possibile difendere la società, le singole persone, i loro diritti, da quanti cercano di aggredirli? Se una persona è pericolosa per gli altri, bisogna forse lasciarla circolare liberamente e permettere che svolga la sua pericolosità facendo del male al prossimo, tutto ciò per rispetto di una pretesa dignità dei malfattori e in ragione del pessimo funzionamento del sistema penitenziario?» L’equivoco sta proprio in questo, che non è vero che alle osservazioni svolte sul carcere consegua che chi è pericoloso per gli altri possa circolare liberamente e mettere in atto il suo comportamento trasgressivo. Chi è pericoloso deve stare da un’altra parte, ma quest’altra parte non può essere il carcere nella forma nella quale generalmente lo si intende oggi.

Prima di tutto, però, la separazione dalla società dovrebbe essere mirata a prevenire l’effettiva pericolosità, e non generalizzata. Si è visto, traendo il dato da Diritti e castighi, che soltanto una percentuale non rilevante dei detenuti è effettivamente pericolosa (su circa cinquantamila, circa novemila, meno del 20%). Non è logico né utile ricorrere al carcere anche per chi non è pericoloso. Costoro dovrebbero essere trattati diversamente per essere recuperati alla società.

Nei confronti di chi è invece pericoloso, la limitazione della libertà di movimento (che è quella che consente di aggredire gli altri) non deve essere però accompagnata dalla limitazione o addirittura dalla esclusione delle altre libertà fondamentali e dei diritti il cui esercizio non abbia relazione con la messa in pratica della pericolosità. Devono essere cioè garantiti, anche per i pericolosi, il diritto allo spazio vitale, il diritto alla salute, il diritto all’affettività, il diritto all’informazione, il diritto (se non il dovere, a fini riabilitativi) al lavoro e all’istruzione: modellando le limitazioni caso per caso, in base alle caratteristiche della persona e al campo nel quale potrebbe esplicare la sua pericolosità.

A chi si sapesse che, se lasciato libero, commetterebbe sicuramente furti o rapine, per esempio, dovrebbe essere impedito di avere contatti con la proprietà altrui, ma non di avere contatti con i propri familiari; e non dovrebbe essergli vietato di navigare su Internet; né di farsi la doccia tutti i giorni, di rivolgersi al suo medico in caso di malattia e così via. I luoghi in cui tenere le persone pericolose, insomma, dovrebbero essere congegnati in modo quasi opposto a quello in cui sono organizzati oggi, per rispondere allo scopo di evitare lo svolgimento della pericolosità senza però calpestare le persone e i loro diritti. Soltanto quando la pericolosità potesse realizzarsi indefinitamente nei confronti di tutti, e soltanto fintanto che questa condizione fosse effettiva, sarebbero consentite limitazioni più rigorose (si tratta in linea di massima dei casi o di persone affette da gravi turbe psicologiche, che andrebbero curate; o di appartenenti a organizzazioni criminose radicate come



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