In Abissinia by Evelyn Waugh

autore:Evelyn Waugh [Waugh, Evelyn]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Adelphi
pubblicato: 2022-12-19T23:00:00+00:00

L’imperatore fece altri tentativi per alleviare il tedio della nostra attesa. Lo sfoggio di modernità che aveva costituito uno degli elementi più frivoli e divertenti della cerimonia dell’incoronazione venne riesumato ancora una volta. Una mattina, al nostro risveglio, trovammo tutta la città tappezzata di manifesti con proclami scritti in tre lingue contro la crudeltà verso gli animali. La versione inglese diceva: «Considerato che il maltrattamento e la crudeltà verso gli animali addomesticati e utili sono incompatibili con la dignità umana, la Municipalità informa il pubblico che è formalmente vietato maltrattare gli animali».

Pochi giorni dopo venne aperta una prigione modello. Questa idea aveva già catturato l’immaginazione imperiale alcuni anni prima, e un imprenditore svizzero aveva tirato fuori un progetto e aveva anche gettato le fondamenta. Poi, come accadeva con la maggior parte delle iniziative etiopiche, i lavori erano cessati. Adesso, con un centinaio di stranieri ficcanaso in città, vennero ripresi con grande fervore di attività.

C’erano già parecchie prigioni a Addis Abeba, meno ambiziose, da cui i visitatori europei erano tenuti rigorosamente alla larga. Era cosa abbastanza comune nel Paese vedere piccoli malfattori andarsene in giro zoppicando allegramente con le catene ai piedi, nell’intento di racimolare con l’elemosina il denaro che serviva al loro rilascio, ma nella capitale si era cercato di tenerli lontani dai fotografi, che avevano l’abitudine di spedire in patria i loro scatti con la dicitura «Schiavi condotti al mercato».

Nella mia visita precedente ero entrato nella prigione di Harar. Poco dopo, un agente italiano munito di macchina fotografica aveva fatto la stessa cosa e i risultati avevano riempito molte pagine del dossier di Ginevra più i numerosi pamphlet distribuiti dal MinCulPop a Roma. Il risultato non fu un miglioramento delle condizioni in quella prigione, ma, per il futuro, la sua totale inaccessibilità ai bianchi che volessero investigare. Lo spettacolo era terrificante. Mi dicono che le gabbie in cui vengono rinchiusi i criminali in Manciuria sono ancora più ripugnanti, ma nella mia memoria la prigione di Harar rimane l’abisso più profondo della sofferenza umana a cui mi sia mai accostato. Per la maggior parte, i prigionieri si trovavano lì per estinguere piccoli debiti; venni informato che ne morivano tre o quattro alla settimana a causa del tifo. Le celle erano dei piccoli tuguri costruiti tutt’intorno a uno spiazzo aperto, fetido come solo la presenza umana può ridurre un posto simile. Tre o quattro uomini erano incatenati al muro di ogni cella con catene lunghe solo quel tanto che permetteva loro di strisciare fino a fuori. (Altra cosa comune, anche se io non ho mai visto niente del genere, era quella di ammanettare i prigionieri legando i polsi alle caviglie e di lasciarli piegati in due anche per mesi di fila). Non ricevevano cibo se non quello che i parenti decidevano di portargli. Non avevano nessun tipo di occupazione, e se ne stavano accovacciati per terra giorno dopo giorno, malati o meno, ma tutti senza speranza.

La nuova prigione dell’imperatore offriva uno standard di comodità non solo enormemente superiore a quello che

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