In principio c'era la parola? by Tullio De Mauro

In principio c'era la parola? by Tullio De Mauro

autore:Tullio, De Mauro [De Mauro, Tullio]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Linguistica, Voci
ISBN: 9788815301888
editore: Societa editrice il Mulino Spa
pubblicato: 2011-10-14T22:00:00+00:00


Decisamente meglio se la passarono i logici scolastici del tardo medioevo, che cominciarono a individuare la portata generale del problema e soluzioni acconce. Le parole, stabilirono, possiamo adoperarle secondo due assunzioni, due suppositiones. C’è una suppositio formalis con cui usiamo la parola per indicare una cosa, un oggetto, un evento e usiamo la parola cane per indicare un cane o ogni cane. E c’è una suppositio materialis con cui usiamo una parola per indicare la parola stessa e diciamo: cane è un sostantivo maschile, cane in inglese si dice dog. Niente di male se teniamo distinte le due suppositiones, male, malissimo, dicevano quei pii monaci, se, per inavvedutezza o malvagità, le confondiamo come nel sillogismo detto del topo: mus est syllaba, sillaba non rodit caseum, ergo mus non rodit caseum, ossia traducendo e adattando: to-po è un bisillabo, i bisillabi non mangiano formaggio, dunque il topo non mangia formaggio. Molti secoli dopo i logici hanno continuato a lavorare in questa prospettiva di distinzione di livelli diversi da non confondere in sede formale. Di qui è nata la nozione di metalinguaggio: diciamo metalinguaggio un linguaggio che e in quanto descrive un altro linguaggio, che è il suo linguaggio oggetto. Un buon linguaggio formale deve evitare radicalmente di confondere usi linguistici del linguaggio oggetto e usi metalinguistici del metalinguaggio che descrive il linguaggio oggetto. E invece le sciagurate lingue storico-naturali o, a dir meglio, gli sciagurati umani che le usano fanno proprio questo e continuamente usano la loro lingua per parlare della loro lingua e, orribile a dirsi per i logici, di una lingua fanno il metalinguaggio di se stessa.

C’è voluta una decina d’anni prima che linguisti più attenti si accorgessero della cosa capita bene dai logici degli anni Trenta. Se ne accorsero linguisti francesi anzitutto che per primi valorizzarono questa singolare proprietà che nell’universo semiotico, come la traducibilità illimitata, come l’apparato grammaticale, hanno le lingue e soltanto le lingue: la proprietà per cui con le parole stesse della nostra lingua parliamo delle parole della nostra lingua. Questo è assolutamente normale per noi esseri umani, è un tratto banale per la sua diffusione, per il fatto che può accompagnare e accompagna tutte le nostre parole, tutte le nostre espressioni, la nostra intera attività verbale in tutte le sue forme, parlata, scritta, produttiva, ricettiva, puramente interiore. Questa continua produzione di parole che spiegano, glossano, precisano le parole che veniamo dicendo un grande linguista francese, purtroppo non abbastanza conosciuto, Antoine Culioli, l’ha chiamata attività «epilinguistica». Essa è il primo gradino dell’attività metalinguistica riflessiva, vale a dire della capacità di definizione, di esplicitazione definitoria dei significati delle nostre parole grazie ad altre nostre parole. Ebbene, questa capacità epilinguistica e metalinguistica sta dentro il nostro «sapere una lingua», è il nerbo della nostra attività linguistica. È molto importante, perché è ciò che ci consente anche di andare per una strada inedita e creativa nell’uso delle parole: possiamo usarne di nuove, mai dette prima, oppure possiamo usarle anche in significati che inizialmente possono sembrare stravaganti. Ma poi



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