La Mano Di Fatima by Ildefonso Falcones

La Mano Di Fatima by Ildefonso Falcones

autore:Ildefonso Falcones [Falcones, Ildefonso]
Format: epub
pubblicato: 2010-10-22T15:00:00.796000+00:00


L'Alcàzar dei Re, antica residenza dei Re Cattolici adibita a tribunale inquisitoriale, era una fortezza costruita da re Alfonso XI sulle rovine di una parte del palazzo del califfo. Tuttavia, già da tempo, tutto il denaro che giungeva al tribunale per la conservazione del luogo era dilapidato dagli inquisitori per le loro spese personali, quindi la struttura era andata progressivamente deteriorandosi. Dove avrebbero dovuto esserci stanze, sale, segreterie e archivi, erano invece proliferati pollai, colombaie, scuderie e addirittura lavanderie, i cui prodotti venivano venduti senza il minimo ritegno dai servitori degli inquisitori sulla porta che si affacciava su Campo Real. Le condizioni igieniche dell'Alcàzar, tra animali e sporcizia, carceri insalubri e due pozze di acqua stagnante e putrefatta, situate sul lato verso il Guadalquivir, alimentavano la leggenda che chiunque vivesse nell'Alcàzar fosse destinato ad ammalarsi e morire.

All'ora terza, come gli era stato ordinato, Hernando si presentò alla porta che dava su Campo Real, sotto la torre del Leòn.

«Devi fare il giro», gli indicò uno dei venditori di tela in modo sgarbato. «Attraversa il camposanto ed entra da puerta del Palo, nella torre della Vela, vicino al fiume.»

Puerta del Palo si apriva su un patio murato, con pioppi e aranci, affacciato sul Guadalquivir. Due custodi lo interrogarono come se fosse lui a dover essere giudicato, finché uno di loro, con un gesto brusco, gli mostrò una porticina che si apriva nella facciata sud. Non appena la ebbe oltrepassata, lasciando dietro di sé gli alberi del patio, Hernando si accorse che la malsana umidità del luogo gli si incollava al corpo.

Entrò in un lugubre corridoio che conduceva alla sala del tribunale: alla sua sinistra, si aprivano le carceri, disposte in modo intricato per sfruttare lo spazio dell'antico Alcàzar. Sapeva che in esse erano ammucchiati i prigionieri, ma il silenzio che vi regnava era così terrificante che i suoi passi risuonarono lungo il corridoio.

La sala delle udienze era rettangolare, con alti soffitti a volta. Su uno dei suoi lati, dietro alcuni tavoli, avevano già preso posto diversi inquisitori, tra cui quello che aveva parlato con lui nella cattedrale, il promotore fiscale del Santo Uffizio e il notaio. Lo fecero giurare sulla riservatezza di ciò che avrebbe ascoltato nella «sala del segreto» e lo fecero sedere davanti a un tavolo più basso degli altri, vicino al notaio. Di fronte a loro vennero collocati tre esemplari mal cuciti del Corano e alcuni altri documenti sparsi.

Era Karim a occuparsi di cucire i fascicoli prima di distribuirli. Mentre gli inquisitori conversavano a voce bassa, Hernando riconobbe ognuno di quegli esemplari del libro divino. Senza riuscire a distogliere lo sguardo, ricordò in che momento esatto avesse scritto ognuno di essi (ormai non aveva quasi bisogno di copiarli); le difficoltà in cui si era imbattuto nell'uno o nell'altro; gli errori commessi; i calami che aveva dovuto tagliare e a quale sura lo aveva fatto; l'inchiostro finito; le osservazioni e i commenti di don Juliàn... le battute e i timori per qualunque rumore strano e improvviso... l'illusione e la speranza



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