La Mosca della rivoluzione by Manuel Vázquez Montalbán

La Mosca della rivoluzione by Manuel Vázquez Montalbán

autore:Manuel Vázquez Montalbán [Vázquez Montalbán, Manuel]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Feltrinelli Editore
pubblicato: 2019-01-17T23:00:00+00:00


La rigenerazione sociale dell’artista

Trockij, almeno, consentiva un tempo storico agli intellettuali per pentirsi dei loro peccati o vergognarsi delle loro malformazioni congenite. Era un intellettuale, e conosceva di quale stoffa sono fatti gli intellettuali. Stalin, invece, lo era in modo strumentale; la sua formazione culturale era stata costruita sulla misura delle necessità di partito, non gliel’avevano pagata i genitori, né ubbidiva a qualche ragione speculativa, dilettantesca. Decadente era l’aggettivo preferito da Stalin e da Hitler al momento di condannare tutto ciò che culturalmente non era loro utile o non capivano, nel pieno consenso dei loro commissari culturali, scelti sempre in funzione del loro stesso livello di coscienza. Man mano che si unificava, il potere politico vampirizzava la cultura, intesa come semplice arma di agit-prop, conseguenza riduttiva, ma logica, di una visione “sociologista” delle arti, di cui Valeriano Bozal, nel suo Il linguaggio artistico, rende responsabili Plechanov, Lenin e lo stesso Trockij: “L’intera cultura venne organizzata in funzione della sopravvivenza, e la politica culturale promosse la realizzazione convenzionale di opere che servivano immediatamente a tale scopo, eliminando quelle che per qualche ragione potessero creare confusione.” Su questa strada siamo a un passo dal pretendere, coercitivamente, che il pensiero e le sue rappresentazioni siano “in linea”, nella linea determinata dal potere politico. Nella riunione del Comitato Centrale del 18 luglio 1925, si dibatte già su arte e letteratura e si decide di rafforzare il ruolo del proletariato nello sviluppo della letteratura e dell’arte, condannando “...il monopolio con cui certi gruppi pretendono di rappresentare in esclusiva le idee della classe operaia”. L’avvertimento sembra rivolto nella stessa misura ai promotori della Cultura Proletaria e ai formalisti e costruttivisti utopici, ma con il tempo sarebbe diventato l’alibi perché fosse lo stesso partito a decidere sul gusto del proletariato. Il Comitato Centrale ebbe ancora nel 1925 la generosità di chiedere che si trattassero con rispetto e tatto gli artisti superstiti del vecchio regime, per spingerli a capire la nuova situazione. Con il tempo lo stalinismo avrebbe reclutato, precisamente dalle file dell’antico accademismo, gli interpreti più fedeli del “classicismo di sinistra”, soprattutto nel campo della pittura e dell’architettura. Viene adoperata l’interpretazione più meccanicistica delle pagine sparse di Marx, Engels e Lenin su arte e letteratura, si sopravvaluta ‘Latte e la vita sociale di Plechanov, e Trockij spalanca le porte per venire interpretato sia come semplice sociologista che come sociologista dialettico, aperto a qualche rinnovamento formale condizionato dall’evoluzione artistica in rapporto con la vita sociale. Ma per tutti gli anni venti si tollera ancora all’avanguardia, a qualsiasi tendenza essa appartenga, di speculare, pur consentendole di fare quasi nulla tra l’altro perché si hanno pochi mezzi per avventure dello spirito quando bisogna passare attraverso un processo industriale: e questo fu il caso dell’architettura. In campo artistico e letterario, dove non interviene il fattore industriale, lo stato, datore di lavoro in nome della clientela proletaria, avrebbe via via reso impossibile la pratica letteraria e artistica a coloro che non si adattavano ai canoni estetici da esso fissati, canoni che si



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