La vittoria senza pace by Raoul Pupo

La vittoria senza pace by Raoul Pupo

autore:Raoul Pupo [Pupo, R. (a cura di)]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: eBook Laterza
editore: Editori Laterza
pubblicato: 2014-11-14T23:00:00+00:00


6. Governatori e vescovi

Vescovi austriacanti e governatori massoni. Era questo lo scenario iniziale, certo non idilliaco, all’interno del quale si dipanarono i rapporti fra le autorità militari italiane e quelle ecclesiastiche nella Venezia Giulia e in Dalmazia. A sfavore dei reciproci buoni rapporti giuocavano anche i precedenti, vale a dire le esperienze maturate nei primi anni di guerra, durante l’occupazione italiana del Friuli orientale e della valle dell’Isonzo. In quella ristretta fascia territoriale i comandi locali avevano fatto la conoscenza del clero locale, che era in parte sloveno e in parte italiano, ma per lo più, quest’ultimo, di orientamento faiduttiano, vale a dire aderente al movimento cristiano sociale creato alla fine dell’Ottocento dal goriziano monsignor Luigi Faidutti. Come altri movimenti tesi a organizzare le masse contadine diseredate, anche quello faiduttiano aveva per avversario naturale l’élite liberale egemone economicamente e socialmente sul territorio. Questa, nella Contea di Gorizia e Gradisca, era schierata in genere su posizioni irredentiste italiane e il faiduttismo fu quindi decisamente antirredentista e legittimista, tanto che il suo leader, già eletto deputato nel 1907 al parlamento di Vienna, nel 1913 venne nominato capitano provinciale, la massima carica governativa nella contea. Tale esposizione politica di un sacerdote non deve stupire, perché era perfettamente in linea con il ruolo riconosciuto al clero all’interno dello Stato asburgico.

Il primo incontro dunque tra militari italiani, che nei “preti austriacanti” vedevano i più pericolosi sobillatori della popolazione, e sacerdoti faiduttiani, decisamente prevenuti verso uno Stato italiano considerato anticlericale e spregiatore dei valori religiosi, si concluse con l’internamento in Italia di una quarantina di sacerdoti su 54 e con lo sbandamento delle strutture dell’associazionismo cattolico e del partito popolare friulano. La questione dei preti internati avrebbe continuato nel dopoguerra a costituire un terreno di attrito fra autorità militari ed ecclesiastiche, inserendosi però in un contesto più vasto, segnato dalla diversa funzione che la Chiesa cattolica aveva svolto nell’impero asburgico rispetto al regno d’Italia.

In Austria non vigeva affatto la netta separazione fra Stato e Chiesa che in Italia era stata prodotta dalla stagione risorgimentale. L’impero era cattolico e la Chiesa costituiva una delle principali forze centripete della monarchia. I sacerdoti operavano quali pubblici funzionari in settori cruciali quali lo stato civile, l’istruzione, l’assistenza e la beneficenza e potevano giungere a ricoprire cariche di rilevo nella pubblica amministrazione. Per converso, non vi era aspetto della gestione delle comunità religiose e degli affari del culto – dalla conferma della nomina dei curati, ai terreni del patrimonio ecclesiastico – che non fosse subordinato all’approvazione statale. La permanenza della legislazione austriaca nei territori adriatici occupati offriva quindi ai governatori militari possibilità di ingerenza certo interessanti nelle dinamiche delle Chiese locali, ma richiedeva anche una capacità di gestire rapporti giuridici complessi e ispirati a una diversa tradizione, che non riusciva spontanea a un personale militare e politico formatosi nell’Italia liberale con una mentalità spesso intrisa di vigoroso anticlericalismo.

Per di più, coerentemente con il suo ruolo di pilastro della monarchia, nel Litorale e in Dalmazia l’alto clero aveva partecipato senza remore alla



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