L’avventura, la noia, la serietà by Vladimir Jankélévitch

autore:Vladimir Jankélévitch [Jankélévitch, Vladimir]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Einaudi
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00

3. Bios e Zoé.

Benché adesso siamo a conoscenza del fatto che l’assenza di una causa qualsiasi costituisce la vera causa della noia, non sappiamo ancora perché la noia si sprigioni proprio dalle condizioni piú favorevoli al benessere. La noia ci è finora apparsa soprattutto come un male attribuibile alla decadenza, alla consapevolezza esasperata e alla modernità. I metafisici non sono forse in grado di riconoscere nella noia una sorta di primitività ontologica? Come l’angoscia, la noia assomiglia a un indefinibile «stato peccaminoso»42: colpevolezza diffusa, lontana e latente, la noia fa in modo che ci sentiamo colpevoli senza avere commesso alcuna colpa. In Pascal, per esempio, la caduta ha pervertito non soltanto la volontà, l’immaginazione sensibile o l’esperienza interiore, ma la nostra stessa esistenza; la ragione sarebbe colpevole quanto la sensazione, e il nostro vero torto sarebbe quello di essere; infatti è proprio la nostra presenza nella sua interezza a essere opaca e «odiosa» e a ostacolare la verità; non basta quindi interpretare i dati dei sensi e gli idoli dell’immaginazione; e l’amore-di-sé, lungi dall’essere soltanto, come avveniva in Malebranche, un amore deviato dal suo fine naturale, è veramente depravato e mostruoso. Contro questa cattiva coscienza a priori ci possono forse essere, per Pascal, dei rimedi diversi da quelli soprannaturali? Tra il soccorso dovuto alla grazia e il «divertimento» del libertino che, temendo di svelare il propria nulla, si getta a corpo morto negli «affari» e nelle tumultuose incombenze e attività mondane, non c’è posto in Pascal per la dieta cartesiana43. Ed è questa l’origine di quella sorta di ereditario pentimento che non è altro che il pentimento di esistere in generale e che si chiama noia, la noia straziante che nasce dall’isolamento e dall’inazione. Il «solitario» non s’annoia; l’«isolato», invece, costretto a un confronto con se stesso senza via di scampo, non può non considerare senza cadere preda del panico e del timore lo spettacolo che gli si presenta dinanzi: prendendo coscienza della sua situazione d’abbandono o, per dirla nella lingua dell’Evangelista, della sua «derelizione», perde la testa e ha il cuore stretto dall’angoscia. La fobia dell’introspezione e della νοήσϵως νόησις vanifica il raccoglimento della vita interiore e rende vuota l’intimità quotidiana con se stessi. Come il cristianesimo si rivolge alla «macchina», per convertirla, cosí la scommessa lusinga il giocatore che s’annida in noi, per convincerlo a raddoppiare la posta in gioco… Perfino Schopenhauer si ritroverà a essere meno disperato, lui che sbeffeggia gli uomini di mondo e predica il nirvana44! Se, ammettendo che la natura ha l’orrore del vuoto, Descartes ammette per ciò stesso che l’anima non cessa mai di pensare, Pascal, agli antipodi, si concede simultaneamente i due abissi – il «silenzio eterno» degli spazi intorno all’io e il deserto della noia al suo interno; la bella coscienza, sempre piena, sempre intenta, ha smarrito il proprio equilibrio: essa esita in preda alle vertigini non appena scopre di essere perduta sia nel grande infinito che la circonda, sia nel minuscolo infinito che scava dentro di lei i suoi insondabili abissi.

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