L’Italia suonata: Dagli anni del boom al nuovo millennio. La storia e la musica (Italian Edition) by Stefano Mannucci

autore:Stefano Mannucci [Mannucci, Stefano]
La lingua: ita
Format: azw3, epub
editore: Mursia
pubblicato: 2018-12-19T16:00:00+00:00

CAPITOLO DICIOTTESIMO

DOLCI E LAMETTE

«Vergognatevi tutti! Chi siete voi per giudicare?» L’anatema di Gabriella risuona forte e chiaro al microfono di Gianni Minà. Mimì è morta anche per colpa di chi l’aveva dipinta come una menagramo. E chi le voleva bene non può darsi pace. Si aggrappa ai ricordi, ma la presa è dolorosa.

Alla fine del 1974 il regista Enzo Trapani realizza uno special tv sulla Martini, intitolato semplicemente Mia. Vi partecipano l’attore Lino Capolicchio e la Ferri. Insieme, le due donne danno vita a un duetto sublime, incentrato sul repertorio popolare romanesco. Dopo il sublime Sonetto dell’estate (scritto da Morricone con Ghigo De Chiara), quando sfuma l’ultima nota della sua chitarra Gabriella attacca a parlare, con tono sornione e canzonatorio. «Mia è sola perché non ha ancora incontrato zorro, Tarzan, Mandrake... Che poi secondo me è meglio non incontrarli...». L’altra l’ascolta, sorpresa e vagamente imbarazzata. «…Un Pulcinella, insomma il suo maschietto, uno che ascolti la sua solitudine e che le permetta di raccontare quello che tace anche a noi, malgrado siamo molto amiche...». Mia continua a tacere, spiazzata. E Gabriella: «…mentre io sto a fa’ ‘sto monologo inutile...». Allora non resta altro che riprendere a cantare. Insieme. Finché la vita te lo permette.

* * *

La Roma è andata a vincere lo scudetto lontano dal suo Testaccio. Lo stadio di via zabaglia è stato dismesso due anni prima, nel 1940. E tutto il popolo giallorosso, quello che faceva casino sbattendo i piedi sulle tribune di legno − roba che pareva un terremoto − ora si sente orfano. Si avverte già la nostalgia di quando, senza una lira in tasca, in tanti si arrampicavano sul Monte dei Cocci, tra la monnezza del Novecento e le anfore di due millenni prima fatte a pezzi una volta scaricata la merce nel porto antico. Vabbè, siamo onesti, dalla collinetta vedevi solo mezzo campo, ma stare lassù a sbirciare la partita era un solluchero. Certo, a Mussolini non dispiace che la Lupa di Masetti, Krieziu e del «fornarino di Frascati» Amadei sia diventata campione d’Italia nel momento in cui le sorti della guerra sembrano voltare le spalle a lui, al Duce. C’è bisogno di affidarsi ai simboli dell’Impero e allora − magari senza spingere troppo sul pedale dei favoritismi − ben venga questo primo titolo per i romanisti, per giunta conquistato in un torneo dove il nuovo impianto di casa è quello intitolato al Partito Nazionale Fascista, nel ’34 già teatro dell’apoteosi mondiale dell’Italia del ct Pozzo e di Meazza. Avrà anch’esso vita breve, lo demoliranno verso la fine degli anni Cinquanta per costuirci sopra il Flaminio, uno dei gioielli architettonici delle Olimpiadi 1960.

Nel settembre del ’42 i festeggiamenti per il tricolore conquistato si sono smorzati da un pezzo, a Testaccio. Per la baldoria calcistica bisognerà aspettare almeno altri quarant’anni, le incessanti strombazzate degli scooter e delle macchine, i bandieroni giallorossi esposti alle finestre per mesi, i palazzi ridipinti con i colori della squadra nell’’82, l’impresa di Conti, Pruzzo e Falcao; o il 2001, lo scudetto di Totti, Montella e Batistuta.

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