L'Assiro by Nicholas Guild

L'Assiro by Nicholas Guild

autore:Nicholas Guild [Guild, Nicholas]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Historical Fiction
ISBN: 8817113662
editore: Rizzoli
pubblicato: 1989-12-31T23:00:00+00:00


La battaglia durò ancora per poco. Quando vidi che gli Sciti erano in piena ritirata, detti ordine che il nostro inseguimento cessasse. Restammo sul campo, che era ora nelle nostre mani, a guardarli mentre si affrettavano a trasportare carri e anima li di là del fiume Bothan. Non c’era ragione d’inseguirli: avevano perso uomini e cavalli in quantità incredibile e non avevo alcuna intenzione di presiedere a un massacro.

Finché il nemico fu in vista, nessuno si accorse che ero ferito. Non appena capii di essere stato colpito (non avevo avvertito alcun dolore all’inizio, soltanto una botta, come se un amico mi avesse dato una pacca sulla schiena), mi girai e spezzai la freccia, gettandola via senza nemmeno guardarla. Il pezzetto di legno lungo un dito, che sporgeva fra le mie scapole, adesso era nascosto dal mantello. Circondato dai miei ufficiali, dopo aver fermato il carro, rimasi ad assistere al compimento di quella mia vittoria. Quasi non parlai e restai immobile, perché sentivo la punta del dardo grattarmi le ossa quasi a ogni respiro.

Fu un’agonia aspettare così, con la freccia che mi bruciava nella carne e sudando per il dolore. Sentivo il sangue scorrermi sotto il corsetto, ma irrigidii le ginocchia e tenni una mano sulla ruota del carro per sostenermi, osservando l’ultimo cavaliere scita lasciare il campo. Il ferimento di un comandante può essere causa di panico fra i soldati, e rappresenta come minimo una distrazione pericolosa. Avrei aspettato. Che i soldati di Assur si godessero il loro trionfo, che provassero almeno un po’ di gioia, prima di sapere.

«Rab shaqe, hai la gamba insanguinata! Rab shaqe, che c’è…?»

«Non sono… non è…»

Penso di essere svenuto, perché ricordo soltanto che ero sdraiato su una barella, e venivo trasportato al campo. Non apprezzai molto quel viaggio: a ogni passo ciò che restava della punta della freccia sembrava affondare sempre più profondamente nella mia schiena.

A metà pomeriggio giacevo nella mia tenda cercando di ubriacarmi, mentre il cuoco, che si presumeva fosse più esperto degli altri nell’affettare carni, stava arroventando il coltello sul braciere, preparandosi a estrarre la freccia conficcata, a quanto pareva, sotto la scapola. Io non vedevo con gioia l’inizio di questa operazione, e credo nemmeno lui.

«Cerca soltanto di far presto» gli dissi; aveva l’aria di aver bisogno di un goccetto anche lui, ma era più opportuno aspettare che l’operazione fosse finita. «Incidi profondamente, tira fuori la punta con il forcipe e ricuci strettamente la ferita. Non devi aver paura, nessuno ti darà la colpa di niente, non importa quel che accadrà. Ma per favore, una volta che hai cominciato, non esitare».

«Sì, rab shaqe, va bene… Sì, rab shaqe».

Aspettammo in silenzio, lui e io, osservando la lama di ferro affondata nei carboni che si andava arroventando.

«Guarda cosa ti abbiamo portato, rab shaqe, che ne dici di questo grazioso uccellino?»

Il lembo della tenda si sollevò e dall’apertura volò, e uso la parola appositamente perché non credo che i suoi piedi toccassero il suolo fino a che non andò a sbattere con la faccia per terra, un oggetto che dapprima presi per un cadavere.



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