Le corde dell'arpa by Carlo Coccioli

Le corde dell'arpa by Carlo Coccioli

autore:Carlo Coccioli [Coccioli, Carlo]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Lindau
pubblicato: 0101-01-01T00:00:00+00:00


La mattina dopo tornano a Città del Guatemala – non vedono Jaime – e a mezzogiorno prendono l’aereo per il Nicaragua e scendono a Managua, la capitale. Il vento la scuote. Trascorrono la prima notte in un vecchio albergo quasi sulla riva del lago. Il vento, di notte, fa di Managua un immane strumento musicale. Letizia rabbrividisce di piacere. Si domanda da dove scaturisca il vento, quali siano le sue fonti segrete. Forse, si risponde lei che sa tutto, nasce nel lago Xolotlán, interminabile distesa gialliccia che lambisce Managua ma nessuno le si avvicina perché tutte le immondizie della città sfociano in essa, le acque nere, il marciume del tropico rifiutato dai sinistri avvoltoi. «Com’è che lo sai?» le domanda Fabrizio, privo però di stupore. Lei sorride, misteriosa. Il vento, il gran vento, il vento sonante, lambisce davvero il lago proibito, ma non s’insudicia, e fa stormire i bei manghi del cosiddetto parco centrale, risuona fra le colonne falsamente greche del grandioso palazzo del governo, risultato, ahimè, di un incubo neoclassico. Il vento accarezza il vergineo monumento elevato al poeta Rubén Darío, voce di America, ai piedi del quale, nel mezzo di un laghetto, va e va una gondola, il trionfo del grottesco, tutta in marmo di Carrara, fra cigni bianchi e bianche donne poppute. Letizia ride fra il vento che le scompiglia i capelli. Il vento investe la solenne cattedrale, commovente a forza di essere brutta, dove i preti dicono messa protetti da impianti elettrici di raffreddamento «per non cadere fulminati ai piedi dell’altare», se è vero quanto asserisce Letizia. Ed è vero: il caldo è spaventoso.

Il giorno dopo, svegliatasi con l’umor vago, e tuttavia decisa a conoscere la città e i suoi segreti, Letizia nota con orrore l’enorme quantità di scarafaggi gialli, dalle ali trasparenti, che si accumulano sui marciapiedi mescolandosi con un esercito di grilli verdi unitamente ai quali si lasciano schiacciare dal piede indifferente dei passanti. Letizia si copre gli occhi con le mani e dichiara che vuol partire subito dalla schifosa Managua, città scellerata se mai ve n’è stata una; dice che pensa a Giacinta, le sembra di sentir risonare le bestemmie che Giacinta lancerebbe davanti alla meschina sorte di questi infelici grilli e perché no? anche di questi scarafaggi. Fabrizio la prega di calmarsi, di avere un po’ di pazienza: gli piacerebbe salutare personalmente un certo scultore il cui indirizzo gli è stato dato a Città del Messico da un altro amico del pittore francese incontrato a Uxmal, scultore a cui lui ha già telefonato, eccetera. Letizia acconsente, poi le viene il dolor di testa e nel pomeriggio, sfinita di schiacciare grilli e scarafaggi, rimane in albergo. «Fra parentesi, è ributtante, – dice, – e sarebbe il caso di andare ad alloggiare altrove». Fabrizio si mette alla ricerca dello scultore e in questa città dove gli indirizzi sono folli finisce col trovarlo: un uomo apatico, laconico, al quale non deve importare un fico di nessuno, nel cui atelier però Fabrizio è avvicinato da una



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