Le scarpe appese al cuore by Ugo Riccarelli

Le scarpe appese al cuore by Ugo Riccarelli

autore:Ugo Riccarelli [Riccarelli, Ugo]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: General, Fiction
ISBN: 9788852043345
Google: nUHQAQAAQBAJ
editore: Edizioni Mondadori
pubblicato: 2013-10-29T17:16:00+00:00


3

Inferno – Paradiso

Adesso posso scordare. Giungo

al mio centro

alla mia algebra, alla mia chiave,

al mio specchio.

Presto saprò chi sono.

J.L. BORGES

Mi sveglio con un tubo che mi esce dalla bocca, intontito, coperto da facce più o meno sorridenti. Rassicuranti. Don’t worry.

Va tutto bene, ora. Ho solo questo coso ficcato in gola, una sonda nel naso, tubicini vari in altre svariate parti del corpo, nudo come un verme e circondato da macchine che pompano, trillano, premono e spingono.

Sono all’Inferno.

Lo prevedevo, lo guardavo dalla finestra, lo sfidavo. Ora ci sono dentro e ho tutto il tempo per guardarmelo.

Non c’è giorno o notte perché le luci sono quasi sempre accese, tra il via vai continuo del personale e il suono degli allarmi acustici delle macchine. Un’infermiera è sempre seduta al fondo del mio letto, a una specie di scrivania e non mi molla un istante.

Posso emettere solo suoni strozzati, non parlare, e quindi comunico solo a gesti o scrivendo. Non si beve e non si mangia. Quando sono stanco della posizione posso alzare un braccio e fare segno di essere ruotato e allora l’infermiera mi gira sulla spalla sinistra. Sulla destra non si può perché il tubo del respiratore non può essere spostato comodamente fino là.

Ogni quarto d’ora devono aspirarmi il muco purulento che ottura il passaggio dell’aria; se ho difficoltà faccio segno al personale, muovendo la mano su e giù, come se dovessi intingere qualcosa. Su e giù, e vengo stasato con una cannula infilata dal naso per avere un altro quarto d’ora di tranquillità.

Attorno a me arrivano con ritmi serrati a praticarmi le terapie con siringhe di liquidi colorati, flebo a cicli continui, controlli di pressione e prelievi. Riposare è difficile. Dormire impossibile. Rimango per ore in un torpore strano, nell’attesa di una notte non molto diversa dal giorno, ma con le luci leggermente abbassate, in attesa di un mattino non molto diverso dalla notte.

Sono qui, spogliato di tutto, rimasto nudo con me stesso e senza possibilità di barare: ora siamo io e io, senza alibi a trovare la mia chiave.

Una scalata solitaria e invernale. Non si può scappare, neanche per dieci metri di tubo.

Finalmente saprò chi sono.

A questa altezza non arrivano più i soccorsi: anche chi mi assiste ora mi sembra che aspetti da me una soluzione per il suo destino. Io li ho legati tutti in cordata, sono aggrappati a me nelle nostre storie ritorte.

I miei genitori che cercano di convincere la loro disperazione, l’ostinazione di mia madre che continua a ripetermi che tornerò a casa con le mie gambe, una madre che ora mi pare pazza e irrazionale nella cieca credenza delle sue parole che per ragione mi paiono assurde e patetiche e che pure io ascolto, inconsueta ninnananna, ultimo rifugio.

Mio padre si aggira silenzioso, apparentemente calmo, a darmi il suo sguardo che in qualche modo mi ha sempre tranquillizzato, ma è una crosta sotto la quale scorre la lava di un vulcano: conosco la sua fragilità, l’impotenza disperata di chi non può far altro che aspettare, correre attorno al tempo, convincersi ubriacandosi di speranza.



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