L'ebreo con la svastica by Lorenz S. Beckhardt

L'ebreo con la svastica by Lorenz S. Beckhardt

autore:Lorenz S. Beckhardt [Beckhardt, Lorenz S.]
La lingua: ita
Format: epub
Tags: Biography & Autobiography, Personal Memoirs
ISBN: 9788854179844
Google: 71fnCQAAQBAJ
editore: Newton Compton editori
pubblicato: 2015-06-25T23:45:57+00:00


Quattro anni prima

Avevo già sentito parlare di Shimon, il maestro di spada. Makin mi aveva raccontato di lui, delle sue prodezze di gioventù, difensore di sovrani, maestro di campioni, leggenda del torneo. Non mi aspettavo un uomo tanto attempato.

«Agli ordini, maestro di spada», risposi prima di seguirlo nel cortile.

Dire che aveva le movenze di uno spadaccino non gli renderebbe giustizia. Sembrava vecchio quanto il tutore Lundist, con gli stessi capelli bianchi e lunghi, ma dal suo incedere pareva udisse il canto della spada scandire ogni singolo momento della giornata.

Qalasadi non se n’era andato dal suo angolo d’ombra, e il cortile era deserto fatta eccezione per una giovane serva che lo stava attraversando con una cesta colma di biancheria e per gli uomini che sorvegliavano il cancello. Altre guardie si accalcarono sulla porta del refettorio alle nostre spalle, ma non osarono seguirci all’esterno. Shimon non aveva esteso l’invito anche a loro.

Il maestro di spada si voltò verso di me. Il suo sguardo da intellettuale mi sorprese. Sarebbe potuto passare per uno scrivano, non fosse stato per la sua carnagione scurita dal sole e una certa aggressività dentro gli occhi. Estrasse la spada. Una lama di servizio come tutte le altre, uguale alla mia.

«Quando siete pronto, giovanotto», disse.

Sguainai la mia spada, domandandomi come avrei fatto meglio a comportarmi. Probabilmente in quel momento Qalasadi stava svelando la mia vera identità a mio zio, quindi perché non sfruttare appieno l’occasione?

Quando colpii la sua spada, Shimon fece ruotare il polso, riproponendomi la stessa mossa usata dal principe di Arco, solo con più destrezza, e privandomi della mia arma. Udii dei risolini giungere dalla porta.

«Più impegno», disse Shimon.

Sorrisi e raccolsi la mia spada. Questa volta attaccai velocemente, con un fendente diretto al suo busto. Ritentò la stessa mossa, ma feci ruotare il polso insieme al suo e riuscii a tenere la lama.

«Meglio», osservò.

Lo attaccai con combinazioni rapide e precise, quelle su cui mi ero esercitato insieme a Makin. Lui si difendeva senza alcuno sforzo apparente, rispondendo dopo ogni attacco con un contrattacco che a malapena riuscivo a contenere. Il clangore dei rapidi colpi di metallo contro metallo riecheggiava per il cortile. Sentii la melodia delle spade levarsi intorno a me. Quel senso di gelida calma si riversò sulle mie braccia, sulle mie guance, sulla pelle della mia schiena. Udii il canto.

Senza pensare attaccai, con fendenti alti, bassi e finte, impiegando tutte le mie forze nei momenti giusti, muovendo tutto il corpo, piedi, braccia, fianchi, soltanto la testa immobile. Aumentai il ritmo, lo aumentai e lo aumentai ancora. Capitavano istanti in cui non riuscivo a vedere né la mia spada né la sua, ma solo la forma dei nostri corpi, e fu l’ineludibilità di quella danza a suggerirmi come spostarmi, come bloccarmi. Il suono dei colpi parati divenne come il clic-clac dei ferri da calza impugnati da mani esperte.

Il volto severo e grinzoso di Shimon non sembrava fatto per sorridere, eppure un sorriso vi si insinuò. Sogghignai come un idiota, grondante di sudore.

«Basta così». Arretrò.

Mi fu difficile non seguirlo, non incitarlo ad attaccare, tuttavia lasciai cadere la spada.



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